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lunedì 14 luglio 2025

Solo gli atei si innamorano

Massimo Recalcati, in uno dei suoi libri più recenti (il titolo non importa: ne esce uno al mese, scegliete voi), sostiene che oggi l’amore può essere solo di due tipi: narcisistico o edipico
O ti innamori di te stesso con le fattezze dell’altro, o ti innamori dell’altro con le fattezze di tua madre. O di tuo padre. Insomma: Freud a colazione, Lacan a merenda. Però, a metà libro, Recalcati cambia idea e annuncia che un amore “vero” è ancora possibile. Magnifico. Solo che non ci dice esattamente dove si trovi, né da dove venga. È un po’ come il Graal: si sa che esiste, ma finisce sempre nelle mani sbagliate.

Jordan Peterson, invece, fa un’altra strada: si mette un elmetto vichingo, prende in mano Nietzsche e Jung come fossero la guida Lonely Planet dell’Anima, e proclama che “Dio” è il Sommo Bene, cioè la cosa che misura tutto il resto. Non importa se lo chiami Dio, Giustizia, Verità, Ordine Cosmico: se agisci come se esistesse, allora funziona. È come avere un codice morale senza bisogno della password (e – chiariamoci – a me Jordan Peterson piace molto, eh).

Il punto è che non tutti scelgono un Dio buono. Alcuni si iscrivono direttamente al club degli Inferi, e non per sbaglio. Ci sono interi movimenti che – con grande serietà, magari anche con le lacrime agli occhi – si mettono devotamente al servizio della distruzione. Non per sbaglio, non “a costo di”, ma perché vogliono proprio quello. Vogliono che tutto bruci. Vogliono che tutto crolli. Vogliono l’Altro Mondo Possibile, ma con la ruspa. E intanto – mentre fanno l’appello al Male Sommo – lo chiamano “cambiamento”, “liberazione”, “giustizia”, “fine della normalità borghese”. Sono quelli col cuore in fiamme e la mano sempre alzata: non per salutare o per fare una domanda, ma per accusare. In fondo, come spiega Gad Saad, sono le idee parassitiche che prendono il sopravvento: basta odiare ciò che c’è, il resto viene da sé. Odia il sistema, odia il linguaggio, odia la logica, odia tua madre, odia il mondo, ma con passione etica. E tutto sembrerà giusto.

Ecco allora l’amore romantico: l’unica religione residuale per atei senza cultura teologica ma con un disperato bisogno di assoluto. È il tentativo – patetico, spesso tenero – di infilare un Dio tascabile sotto forma di partner. Uno che ci redima, ci confermi, ci assolva e ci metta il cuore su WhatsApp. Si prende l’altro, lo si innalza sul piedistallo, lo si adora, e poi – inevitabilmente – lo si detesta, perché il dio portatile si scarica subito. Nessuno regge il peso di essere Dio per l’altro. Neanche Dio, figuriamoci un laureato in Scienze della Comunicazione.

Il risultato? Delusione, crollo, cinismo, e poi si ricomincia. Come la persona in sovrappeso che ogni anno, dopo le feste, annuncia la conversione definitiva. Anche l’amore romantico ha i suoi lunedì.

In questo senso – e solo in questo senso – solo gli atei si innamorano. Solo chi non ha un Dio, o un’Idea, o una Patria, o una Giustizia, o una Qualcosa con almeno un’ombra di plausibilità metafisica, ha bisogno di un essere umano su cui incollare l’etichetta di “senso”. Ma attenzione: non vale tutto. Non puoi farlo con la Roma o con Fedez, anche se per molti ci stanno provando. Il surrogato funziona solo se almeno finge di essere una cosa seria. La Qualcosa dev’essere qualcosa: una direzione del tempo, un criterio del vero, una traiettoria dell’essere. Non un tatuaggio, né una canzone in classifica.

Chi invece ha un punto fisso – Dio, la Matematica, la Sinfonia in mi bemolle, o anche solo la Costituzione del '48 letta bene – può amare senza trasformare l’altro in una trappola. Può dire “ti amo” senza significare “salvami”. Può stare senza pretendere. Può partire senza devastarsi. Può amare davvero, senza chiedere il miracolo.

Lacan, che in quanto a romanticismo era un frigorifero industriale, la dice giusta: “Amare è dare quel che non si ha a qualcuno che non lo vuole”. E forse, proprio quando si capisce questo – cioè che non saremo mai salvezza per nessuno, e nessuno lo sarà per noi – si può cominciare ad amare Quello Giusto.

Che non è perfetto. Ma è vero e, soprattutto, non ha bisogno di essere Dio. Con il quale, a quel punto, possiamo fare i conti con maggior onestà intellettuale di quanta non ne mettiamo, solitamente, nel nostro smandrappato laicismo da quattro soldi.