2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

venerdì 14 marzo 2025

Arjun Appadurai e la deterritorializzazione della cultura - Lezione #12 di Antropologia culturale Modulo A PIETRO VERENI per Tor Vergata

Lezione numero 12 registrata il 28 ottobre 2024

Lezione 12 – Arjun Appadurai e la deterritorializzazione della cultura 28 10 2024

Introduzione alla lezione

La lezione odierna è incentrata sull’approfondimento del saggio di Arjun Appadurai, già introdotto nella lezione precedente, con un focus particolare sul tema della deterritorializzazione della cultura. L’autore, antropologo indiano specializzato in area studies, si distingue per un approccio che coniuga lo studio della globalizzazione con un forte interesse per la politica internazionale e i processi culturali connessi. La sua opera più influente, Modernity at Large (tradotto in italiano come Modernità in polvere), è al centro dell’analisi odierna.

Il punto di partenza: cultura e territorio

Uno degli assunti fondamentali del saggio di Appadurai è che la modernità ha progressivamente sganciato la cultura dal territorio. L’autore evidenzia come nella storia dell’umanità vi sia stata una tensione costante tra forze che tendono a integrare territori e popolazioni (imperi, religioni universali, scambi economici) e forze locali che, invece, resistono alla centralizzazione e frammentano questi tentativi di unificazione. Storicamente, la capacità di mantenere unità culturali era limitata dalla tecnologia, dai mezzi di comunicazione e dalla difficoltà di controllare territori vasti.

Il concetto di "ecumene" e la sua frammentazione

Un concetto chiave introdotto da Appadurai è quello di "ecumene", termine di origine greca che indica la "terra abitata" e, per estensione, uno spazio culturale condiviso. Nel passato, le ecumeni si formavano attorno a imperi, religioni e reti commerciali, ma erano sempre esposte al rischio di frantumazione. Un esempio classico è la Magna Grecia, in cui le colonie greche mantenevano un legame culturale con la metropoli d’origine attraverso strumenti arguti ma fragili come il symbolon, un segno materiale diviso in due parti che permetteva ai discendenti dei coloni di riconoscersi e mantenere connessioni economiche e sociali.

Fonti della conoscenza: esperienza e rappresentazione

La lezione introduce una distinzione fondamentale tra due fonti della conoscenza:

1. Esperienza diretta e sensoriale: ciò che apprendiamo attraverso i sensi, il contatto diretto con il mondo.

2. Rappresentazione: conoscenze derivate da simboli, narrazioni, scrittura, immagini, che non derivano dall’esperienza immediata.

Questa distinzione è cruciale perché dimostra come la modernità abbia ampliato enormemente la dimensione della rappresentazione, rendendola predominante rispetto all’esperienza diretta.

Le rivoluzioni della rappresentazione

Qui sintetizziamo anche quel che ci ha già detto Yuval Harari, per analizzare le trasformazioni delle modalità di rappresentazione, individuando tre grandi rivoluzioni:

1. Linguaggio (70.000 anni fa): il linguaggio ha permesso agli esseri umani di trasmettere informazioni oltre l’esperienza immediata, creando racconti e storie che hanno plasmato la cultura.

2. Scrittura (circa 5.000 anni fa): la scrittura ha permesso di oggettivare il sapere, separando il momento della creazione da quello della fruizione. Ha reso possibile la conservazione e la trasmissione precisa della conoscenza nel tempo.

3. Stampa (XV secolo): con la stampa, la scrittura diventa merce, dando origine al capitalismo a stampa e alle comunità immaginate, concetti chiave per comprendere la nascita delle identità nazionali (Benedict Anderson).

L’era elettronica e la globalizzazione

La trasformazione più radicale della rappresentazione è avvenuta con la nascita delle tecnologie elettroniche, che hanno annullato le distanze e il tempo. Il telegrafo, prima, e i media elettronici, poi, hanno creato una simultaneità prima impensabile. Questo ha modificato profondamente la nostra concezione del mondo, rendendo possibile immaginare una realtà condivisa con persone lontane migliaia di chilometri.

L’esempio della fotografia mostra come una tecnologia possa plasmare la memoria collettiva: tutti riconoscono volti come quelli di Abraham Lincoln o John F. Kennedy, ma pochi sarebbero in grado di identificare un proprio antenato vissuto nella stessa epoca. Questo dimostra come la memoria culturale sia plasmata dai media e dalla circolazione delle immagini.

Il nuovo immaginario globale

La conseguenza ultima di questa evoluzione è che l’immaginario contemporaneo è diventato un enorme magazzino di memoria globale accessibile a tutti. Non si tratta più di una memoria personale o locale, ma di una costruzione collettiva influenzata da film, musica, social media e altre forme di cultura di massa. Un esempio emblematico è il karaoke filippino, in cui giovani cantano con passione brani di un passato che non appartiene direttamente alla loro cultura, ma che è stato assimilato attraverso i media globali.

Conclusioni e spunti per la prossima lezione

La lezione si conclude con una riflessione sull’effetto della deterritorializzazione sull’arte e sulla cultura contemporanea. L’immaginario collettivo non è più vincolato a uno spazio geografico specifico, ma è plasmato da una rete globale di rappresentazioni. La prossima lezione approfondirà ulteriormente questo tema, esaminando il ruolo dell’arte e dei media nella costruzione delle identità contemporanee.

Metodo etnografico (Olivier de Sardan) e Globalizzazione (Appadurai) Lezione #11 di Antropologia culturale PIETRO VERENI per Tor Vergata

 

Lezione numero 11 registrata il 25 ottobre 2024

Lezione 11. Ancora etnografia (seconda parte) e poi Appadurai (prima parte)

Sintesi della Lezione 11 di Antropologia Culturale - Modulo A Registrata il 25 ottobre 2024


Introduzione alla lezione e organizzazione del corso

La lezione si apre con una panoramica sulla programmazione del corso, sottolineando la conclusione di alcuni aspetti fondamentali del lavoro di Olivier de Sardan, che saranno oggetto di verifica nell’esonero. Inoltre, viene introdotto il saggio di Clifford Geertz, “Verso una teoria interpretativa della cultura”, che sarà oggetto di lettura e approfondimento nelle lezioni successive. Il docente fornisce anche dettagli pratici sul calendario delle prossime lezioni e sulla gestione dell’esonero scritto e orale.


Metodologie di raccolta dei dati etnografici

Viene ripreso il tema dei quattro modi di produzione del dato etnografico, già trattato in precedenza:

  • Osservazione partecipante
  • Colloqui (sia strutturati che informali)
  • Dati di censimento
  • Fonti scritte

Si evidenzia l’importanza del racconto di vita (slices of life) come strumento etnografico e si cita un esempio di ricerca personale del docente, in cui la raccolta di storie di vita ha avuto un ruolo centrale.


La politica del campo e la triangolazione dei dati

Il concetto di politica del campo, introdotto da Olivier de Sardan, viene esaminato nel dettaglio. Si discute la necessità di adottare strategie per verificare l’attendibilità delle fonti attraverso la triangolazione:

  • Triangolazione semplice: verifica dell’attendibilità di un’informazione confrontandola con altre fonti indipendenti.
  • Triangolazione complessa: analisi dei giudizi sociali e della collocazione degli attori all’interno di uno spazio sociale, secondo una prospettiva ispirata a Pierre Bourdieu.

L’esempio del conflitto israelo-palestinese viene usato per mostrare la difficoltà di evitare bias nel selezionare informatori e nel dare valore alle testimonianze.


Serendipità e imprevisti nella ricerca

Viene introdotto il concetto di serendipità, ovvero la capacità di scoprire qualcosa di inatteso mentre si sta cercando altro. L’etnografia si basa su un atteggiamento aperto e ricettivo che permette di cogliere elementi inattesi e imprevisti. Si discute l'importanza di mantenere una mente flessibile e di non lasciarsi guidare esclusivamente da ipotesi preconcette.


Iterazione e costruzione della conoscenza

Si distingue tra:

  • Iterazione concreta: la trasmissione non lineare di informazioni tra informatori, creando reti di collegamenti tra persone e conoscenze.
  • Iterazione teoretica: il processo attraverso cui la ricerca sul campo può portare a rivedere e ridefinire le categorie teoriche di partenza.

Si fa l’esempio dei matrimoni misti in Macedonia, che inizialmente il docente aveva pensato come categorie fisse, ma che poi si sono rivelati più fluidi e situazionali grazie all’iterazione teorica.


Saturazione e Diario di Campo

Viene chiarito il concetto di saturazione nella ricerca etnografica: la raccolta dati si considera “satura” quando ulteriori interviste non aggiungono nuove informazioni rilevanti. Si distingue tra la raccolta dati empirica (che può raggiungere una saturazione) e l’interpretazione teorica (che invece resta sempre aperta e in continua evoluzione).

Si discute l’uso del diario di campo, che permette di sistematizzare e categorizzare le informazioni raccolte, utilizzando strumenti come il coding per organizzare i dati e individuare pattern ricorrenti.


Selezione degli informatori e distorsioni della ricerca

Si approfondisce il concetto di gruppo sociale testimone e di informatori privilegiati. Il docente porta esempi dalla sua esperienza di ricerca in Grecia e in Irlanda del Nord, sottolineando i rischi di cadere in cricche chiuse, ovvero di raccogliere informazioni solo da gruppi che confermano una determinata visione politica o culturale.

Viene sottolineata la necessità di evitare il monopolio delle fonti e di essere consapevoli della propria soggettività di ricercatori, che può influenzare la raccolta e l’interpretazione dei dati.


Introduzione alla Globalizzazione e Arjun Appadurai

Si passa poi all’introduzione della teoria di Arjun Appadurai, un antropologo indiano che ha proposto una nuova visione della globalizzazione nel libro Modernity at Large (1996, tradotto in italiano come Modernità in polvere).

Appadurai rifiuta la visione tradizionale delle culture come entità statiche e delimitate, e propone di analizzare la globalizzazione come un processo di circolazione di idee, immagini e immaginari culturali.


Economia culturale globale e disgiuntori

Appadurai introduce il concetto di economia culturale globale, intendendo l’economia non solo come produzione di beni materiali, ma come circolazione di immagini, idee e simboli. Un elemento chiave della sua teoria è quello dei disgiuntori (disjunctures), ovvero la perdita di sincronizzazione tra i vari livelli della globalizzazione:

  • Flussi di persone (ethnoscapes)
  • Flussi di tecnologie (technoscapes)
  • Flussi di immagini e media (mediascapes)
  • Flussi di capitali (finanscapes)
  • Flussi di ideologie e religioni (ideoscapes)

Secondo Appadurai, questi elementi della globalizzazione non procedono in modo deterministico uno rispetto all'altro, ma si influenzano e si modificano in modi imprevedibili.


Conclusione e anticipazione della prossima lezione

Si chiude la lezione con un video che mostra un esempio di appropriazione culturale e reinterpretazione dell’immaginario globale, ponendo le basi per il successivo approfondimento sulla teoria degli -scapes di Appadurai e sul concetto di immaginazione globale.

giovedì 13 marzo 2025

Metodologia e tecniche dell’etnografia. Lezione #10 di Antropologia culturale PIETRO VERENI per Tor Vergata

 

Lezione numero 10 registrata il 23 ottobre 2024


Lezione 10. Metodologia e tecniche dell’etnografia

 Introduzione alla ricerca etnografica

L’etnografia è il metodo con cui gli antropologi raccolgono i dati, avendo come spazio privilegiato di osservazione il campo (fieldwork). Così come lo storico lavora negli archivi e il sociologo utilizza i questionari, l’antropologo culturale si affida all'osservazione partecipante. L’obiettivo principale è comprendere il punto di vista Emic – la prospettiva del nativo – e ricostruire la logica culturale che rende coerente il suo modo di vivere.

Il problema della percezione selettiva

Un aspetto critico della ricerca etnografica è che la nostra percezione è selettiva e soggetta a errori. L’esperimento del gorilla invisibile (Daniel Simons) dimostra come l’attenzione si focalizzi su determinati aspetti, trascurandone altri anche molto evidenti. Questo vale anche per l’antropologo sul campo, che può rischiare di perdersi dettagli fondamentali se è troppo orientato su un obiettivo specifico.

L’importanza dell’osservazione partecipante

L’osservazione partecipante, definita da Bronislaw Malinowski, è la tecnica fondamentale della ricerca etnografica. L’antropologo partecipa alla vita quotidiana della comunità studiata, interagendo con i membri del gruppo per raccogliere dati sul loro sistema culturale. Il problema principale della ricerca sul campo è che non si sa mai quando e in che forma apparirà un "gorilla", ovvero un elemento cruciale ma imprevisto.

Il paradosso dell’intimità

A differenza di altre scienze sociali (come la sociologia o la storia), l’antropologia si basa su un rapporto di intimità con i soggetti studiati. Lo storico mantiene una certa distanza dalle sue fonti, mentre l’etnografo deve entrare in relazione con gli informatori, condividendo aspetti della loro vita per comprendere il loro mondo. Questa vicinanza può essere problematica, poiché può influenzare la ricerca, ma è anche lo strumento essenziale per ottenere dati significativi.

Le quattro forme di produzione del dato etnografico

Secondo Olivier de Sardan, l’etnografia produce dati attraverso quattro modalità principali:

1. Osservazione partecipante

2. Colloqui

3. Procedure di censimento

4. Raccolta di fonti scritte

1. Osservazione partecipante

L'osservazione partecipante è il metodo cardine della ricerca antropologica. I due strumenti fondamentali per questa tecnica sono:

  • Il taccuino: luogo in cui le percezioni vengono convertite in dati trattabili.
  • L’impregnazione: l’apprendimento implicito delle regole culturali attraverso la convivenza prolungata con la comunità.

L’etnografo non è un turista: non basta stare in un luogo, bisogna documentare sistematicamente tutto ciò che si osserva. La ricerca sul campo è faticosa e stressante, poiché richiede di mantenere sempre attiva la percezione e di non dare nulla per scontato.

2. Colloqui etnografici

I colloqui sono conversazioni che permettono di raccogliere informazioni in maniera più approfondita rispetto alla sola osservazione. A differenza delle interviste strutturate (che seguono domande predefinite), il colloquio etnografico è flessibile e adattabile alla situazione.

Esistono due tipi principali di colloqui:

  • Consulenza: quando un informatore esperto fornisce dati su un tema specifico (es. una donna anziana che racconta i rituali matrimoniali tradizionali).
  • Racconto: quando un informatore condivide esperienze personali e vissuti (es. la storia di un uomo che ha perso la famiglia a causa di un conflitto etnico).

Un elemento chiave del colloquio è la ricorsività: ogni risposta può generare nuove domande, rendendo il processo dinamico e adattabile.

3. Procedure di censimento

Le procedure di censimento sono utilizzate per raccogliere dati quantitativi e oggettivi. Esempi di censimenti etnografici includono:

  • Registri matrimoniali per studiare i matrimoni interetnici.
  • Analisi delle dimensioni delle abitazioni in relazione al reddito delle famiglie.
  • Rilevazione di alberi genealogici per comprendere le strutture di parentela.

A differenza degli altri metodi, il censimento tende a produrre dati di tipo Etic, ovvero non mediati dall’interpretazione dei nativi.

4. Raccolta di fonti scritte

Le fonti scritte sono fondamentali per la ricerca antropologica e possono essere di tre tipi:

1. Fonti propedeutiche: studi e documenti che si leggono prima del campo per prepararsi (storia locale, etnografie precedenti, ecc.).

2. Fonti integrate sul campo: lettere, quaderni, diari e pubblicazioni locali raccolti direttamente sul terreno.

3. Corpus autonomi: archivi, giornali e materiali audiovisivi preesistenti.

Oggi, le fonti multimediali (fotografie, video, registrazioni audio) sono sempre più rilevanti per documentare e analizzare le realtà culturali.

La politica del campo

Olivier de Sardan identifica alcune strategie per garantire la validità della ricerca etnografica, tra cui:

  • Triangolazione: confronto tra diverse fonti per verificare la coerenza delle informazioni.
  • Iterazione: ritorno ripetuto sugli stessi temi per ottenere dati più approfonditi.
  • Esplicitazione interpretativa: inserire riflessioni soggettive nel diario di campo per chiarire i processi di analisi.
  • Saturazione: riconoscere quando si è raccolto abbastanza materiale per poter trarre conclusioni.

Conclusioni

L’etnografia è un processo complesso che richiede una combinazione di osservazione, partecipazione e documentazione sistematica. L’antropologo deve trovare un equilibrio tra immersione e distacco, raccogliendo dati senza perdere la capacità di analizzarli criticamente. La metodologia etnografica non è solo una tecnica di ricerca, ma anche un approccio alla comprensione delle culture umane.

 

martedì 11 marzo 2025

“Gli usi della diversità” di Clifford Geertz. Ovvero: fare i conti con l'etnocentrismo. Lezione #09 di Antropologia culturale PIETRO VERENI per Tor Vergata

 

                        Lezione numero 09 registrata il 21 ottobre 2024

20241021 Antropologia culturale 2024-25 Mod A Lez 09 “Gli usi della diversità” di Clifford Geertz. Ovvero: fare i conti con l'etnocentrismo

Introduzione alla lezione

Il docente apre la lezione facendo un rapido riferimento alla chiusura dell'argomento sul nazionalismo e a un breve accenno al saggio metodologico di Olivier de Sardan, prima di concentrarsi sul testo principale della giornata: “Gli usi della diversità” di Clifford Geertz.

Il saggio, pubblicato nel 1983, affronta il problema dell’etnocentrismo, interrogandosi su eventuali vantaggi che esso potrebbe offrire. La risposta di Geertz è categorica: l’etnocentrismo non è utile e va rifiutato. L’argomentazione si sviluppa attraverso un confronto critico con le posizioni di Claude Lévi-Strauss e del filosofo Richard Rorty, entrambi accusati di favorire, in modi diversi, una visione chiusa della cultura.


L’etnocentrismo e la crisi della diversità

Il punto di partenza del saggio è il mutamento della percezione della diversità. Geertz nota che la globalizzazione, l’informatizzazione e la decolonizzazione hanno reso la diversità più visibile e ineludibile rispetto al passato. Non si può più pensare alla diversità come a qualcosa di distante e separato dalla nostra realtà.

Il problema principale è che questo mutato scenario ha portato a una nuova legittimazione dell’etnocentrismo: invece di comprendere la diversità, molte società tendono a chiudersi in se stesse, giustificando il rifiuto dell’altro come una forma di difesa culturale.

Geertz esamina due posizioni che, secondo lui, favoriscono questa chiusura:

1. Lévi-Strauss propone l’idea che le culture debbano mantenere una loro impermeabilità per non perdere la propria originalità e creatività.

2. Rorty sostiene che l’etnocentrismo sia inevitabile e necessario, perché ogni cultura può giudicare se stessa solo in relazione agli altri, vedendoli come sfondo per la propria superiorità morale.

Geertz respinge entrambe le posizioni, ritenendole pericolose e dannose per il progresso della conoscenza.


La posizione di Lévi-Strauss: l’etnocentrismo come protezione

Nel 1973, Lévi-Strauss intervenne alle Nazioni Unite, esprimendo preoccupazione per il crescente relativismo culturale e la tendenza a livellare le differenze tra le culture. Egli sostiene che mantenere un certo grado di etnocentrismo sia fondamentale per proteggere la propria identità culturale e impedire una fusione indiscriminata delle tradizioni.

La sua metafora del treno è centrale nella discussione:

  • Ogni cultura è come un vagone su un treno che viaggia in una direzione specifica.
  • La presenza di un altro treno, che va in direzione opposta, è fonte di distrazione e potrebbe compromettere la riflessione autonoma della propria cultura.
  • L’etnocentrismo è quindi una sorta di preservativo culturale (usando la sua espressione), che protegge dalla perdita della propria identità.

Geertz critica questa posizione per due motivi:

1. Le culture non sono blocchi separati, ma realtà ibride e interconnesse. L’idea che ogni cultura esista in un vagone separato è illusoria e fuorviante.

2. La cultura non è mai unitaria e compatta, come invece presuppone Lévi-Strauss. Ogni cultura è attraversata da differenze interne e conflitti, e non può essere ridotta a un monolite.


La posizione di Richard Rorty: l’etnocentrismo come conforto morale

Rorty, nel suo pragmatismo filosofico, propone una visione relativista e consolatoria della filosofia. Egli afferma che la filosofia non può fornire principi oggettivi universali, ma può solo rafforzare il senso di appartenenza a una comunità.

Secondo Rorty, l’etnocentrismo non solo è inevitabile, ma è anche utile:

  • Ogni gruppo umano tende a rafforzare la propria identità contrastandosi con gli altri.
  • Le culture altrui diventano solo sfondi su cui stagliare la propria superiorità.
  • Il confronto con gli altri non serve a comprenderli, ma solo a rafforzare il senso di dignità della propria comunità.

Geertz rifiuta categoricamente questa prospettiva, accusandola di ridurre la filosofia a una forma di razzismo culturale, in cui gli altri esistono solo come metro di paragone per la nostra autocompiacenza.


Il caso dell’indiano ubriacone: un esperimento mentale

Per dimostrare l’inutilità dell’etnocentrismo, Geertz racconta una storia reale che gli è stata riferita da un collega.

In un centro dialisi nel sud-ovest degli Stati Uniti, alcuni medici filantropi avevano il compito di selezionare i pazienti che avrebbero potuto ricevere la terapia, a causa della scarsità di macchine per la dialisi. Tra i selezionati c’era un anziano nativo americano alcolizzato, il quale utilizzava la dialisi non per curarsi, ma per potersi ubriacare di più senza rischiare la morte immediata.

Questa scoperta lasciò i medici sbigottiti e frustrati. Dal loro punto di vista, la loro scelta era stata sprecata: avevano dato la macchina a una persona che non voleva salvarsi, mentre altri pazienti più “meritevoli” erano rimasti esclusi.

Geertz usa questa storia per dimostrare che l’etnocentrismo non aiuta a risolvere problemi concreti. Né un atteggiamento di chiusura come quello di Lévi-Strauss, né un atteggiamento di superiorità come quello di Rorty avrebbero cambiato la situazione.

Ciò che è mancato, invece, è stato uno sforzo immaginativo per comprendere la prospettiva del nativo americano:

  • Perché la sua vita lo ha portato a questa condizione?
  • Quali esperienze hanno plasmato il suo modo di vedere il mondo?
  • In che modo la società ha contribuito alla sua disperazione?

Queste sono le domande che un vero antropologo deve porsi.


L’alternativa di Geertz: immaginare senza assorbire

Geertz propone una soluzione radicale e impegnativa:

Dobbiamo imparare a comprendere quello che non possiamo accettare.

Non si tratta di celebrare la diversità in modo superficiale o ingenuo, ma di:

  • Rifiutare la segregazione culturale (noi contro loro).
  • Non minimizzare la diversità con frasi vuote come “Siamo tutti umani”.
  • Non esotizzare l’altro come se fosse solo un elemento decorativo della nostra esperienza.

Il vero obiettivo della scienza sociale è comprendere l’alterità senza annullarla e senza pretendere di ridurla ai propri schemi mentali.


Conclusioni: il valore della diversità

La lezione si chiude con una riflessione su quanto l’etnocentrismo sia un ostacolo alla conoscenza.

  • Esso riduce la nostra capacità di immaginare le vite degli altri.
  • Soffoca la curiosità e l’apertura mentale.
  • Ci impedisce di vedere le differenze che esistono anche all’interno della nostra stessa società.

In un mondo sempre più connesso, imparare a comprendere senza omologare è una sfida essenziale. L’antropologia non serve a giudicare il mondo, ma a capirlo, anche quando ciò che scopriamo ci risulta scomodo o incomprensibile.

lunedì 10 marzo 2025

Nazionalismo, modernità e comunità immaginate. Lezione #08 di Antropologia culturale PIETRO VERENI per Tor Vergata

 

Lezione numero 08 registrata il 18 ottobre 2024

20241018 Antropologia culturale 2024-25 Mod A Lez 08 Nazionalismo, modernità e comunità immaginate 

Introduzione e organizzazione della lezione

La lezione si apre con una riflessione sul percorso del corso e l’importanza di collegare gli argomenti trattati. Il docente presenta i contenuti della lezione, che si concentreranno sul concetto di nazionalismo, esaminando autori fondamentali come Elie Kedourie, Ernest Gellner e Benedict Anderson. Viene inoltre annunciata la lettura del saggio di Clifford Geertz, “Gli usi della diversità”, che sarà introdotto alla fine della lezione.


Il nazionalismo come costruzione moderna

Si introduce la questione del nazionalismo, chiarendo che si tratta di un fenomeno storico recente, che emerge con la nascita degli stati nazionali moderni. Elie Kedourie critica il nazionalismo, sostenendo che sia un’ideologia artificiale, nata in Europa all'inizio dell’Ottocento, che stabilisce criteri arbitrari per definire le popolazioni degne di autogoverno. Kedourie sottolinea tre elementi chiave che hanno favorito la diffusione del nazionalismo:

1. Una rivoluzione filosofica avviata dal pensiero tedesco, in particolare da Kant e Fichte, che attribuisce un ruolo essenziale al linguaggio nella formazione dell’identità collettiva.

2. L’esclusione sociale degli intellettuali, che porta alla ricerca di una nuova appartenenza politica.

3. La rottura delle grandi ecumene religiose, come la cristianità medievale, che lascia spazio a nuove forme di identificazione politica.


Nazionalismo e modernizzazione: la teoria di Ernest Gellner

Si analizza la teoria di Ernest Gellner, che collega il nazionalismo alla modernizzazione e al capitalismo. Secondo Gellner, il nazionalismo non è una causa della nascita degli stati nazionali, ma piuttosto il loro effetto. Con la crescita economica e la trasformazione delle economie agricole in economie industriali, diventa necessario uniformare la popolazione per garantire produttività e competitività. Gli stati moderni devono quindi:

  • Rompere le vecchie strutture sociali e culturali locali, che sono troppo rigide per adattarsi al mutamento economico.
  • Creare una lingua nazionale unitaria, imponendola attraverso l’educazione obbligatoria.
  • Promuovere la mobilità sociale e geografica, per facilitare l’adattamento alle nuove esigenze del mercato.

Gellner evidenzia come il nazionalismo sia funzionale alla costruzione di una società in cui le persone possano essere flessibili e adattabili, invece che vincolate a tradizioni locali statiche. L’educazione e la diffusione di una lingua nazionale servono a creare cittadini omogenei, pronti a inserirsi nel sistema produttivo moderno.


La comunità immaginata di Benedict Anderson

Il concetto di comunità immaginata di Benedict Anderson aiuta a spiegare come si formi il senso di appartenenza nazionale. Anderson definisce la nazione come una comunità politica immaginata, limitata e sovrana. È "immaginata" perché i membri di una nazione non si conoscono tra loro, ma condividono una percezione comune di appartenenza. È "limitata" perché ogni nazione riconosce la presenza di altre nazioni, e "sovrana" perché nasce in un'epoca in cui le monarchie divine perdono legittimità a favore della sovranità popolare.

Un fattore cruciale nella costruzione delle nazioni è il capitalismo a stampa:

  • La diffusione dei giornali e dei romanzi permette alle persone di immaginarsi parte di una comunità più ampia.
  • La stampa uniforma la lingua, creando una base comune di comunicazione tra cittadini.
  • La lettura simultanea di testi nazionali rafforza il senso di identità condivisa.

La stampa non è stata creata con l’intento di formare nazioni, ma la logica commerciale della diffusione dei libri ha portato alla standardizzazione linguistica e alla creazione di uno spazio culturale nazionale.


Nazionalismo e religione: un rapporto inscindibile

Un aspetto centrale della lezione è la riflessione sul rapporto tra nazionalismo e religione. Il docente sfida la visione comune che considera il nazionalismo una forma secolarizzata di religione e propone una lettura inversa: il nazionalismo è esso stesso una forma di fede. Gli esempi della guerra in Ucraina, del conflitto israelo-palestinese e della crisi in Libano mostrano come il nazionalismo sia intriso di elementi trascendenti. Si parla del concetto di "popolo eletto", che non è esclusivo della religione ebraica, ma è presente in molte ideologie nazionaliste.

L’idea che le lotte politiche siano esclusivamente secolari è una semplificazione: i leader nazionalisti spesso attingono a retoriche religiose per legittimare le loro azioni e motivare i cittadini. Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, è prima di tutto un teologo, e lo stesso si può dire per molti esponenti politici israeliani e islamisti.


Il ruolo della cultura nella costruzione dell’identità

Si passa poi a una riflessione più ampia sulla fragilità e flessibilità della cultura. Si discute il concetto di effetto cricchetto, introdotto da Joseph Henrich e Michael Tomasello, secondo cui le innovazioni tecnologiche si accumulano nel tempo, mentre le idee e i valori morali possono cambiare drasticamente tra una generazione e l’altra. La cultura non è statica, ma è sempre in evoluzione.

Si esamina anche il Dunning-Kruger effect, che evidenzia la correlazione inversa tra competenza e sicurezza nelle proprie affermazioni: chi sa poco su un argomento tende a essere più sicuro delle proprie opinioni rispetto a chi ha una conoscenza più approfondita.


Conclusione e collegamenti futuri

La lezione si chiude con una riflessione su come il nazionalismo sia uno strumento di disciplinamento sociale che ha permesso agli stati moderni di uniformare le popolazioni e renderle economicamente e politicamente efficienti. Si anticipano le prossime lezioni, che tratteranno il metodo etnografico e le trasformazioni delle comunità immaginate nell’era digitale.

Si sottolinea l’importanza di studiare con attenzione il saggio sul nazionalismo, poiché molte domande del test saranno basate su questi concetti. Il docente ribadisce che il mondo contemporaneo non è più regolato dalle stesse logiche del passato, e che la diffusione di nuovi mezzi di comunicazione sta trasformando le identità nazionali in modi imprevedibili.

domenica 9 marzo 2025

Degli appunti non si butta via niente. Temi sparsi: cultura alta e bassa, storia-sociologia-antropologia, invenzione della tradizione. Lezione #07 di Antropologia culturale PIETRO VERENI per Tor Vergata

 

Lezione numero 07 registrata il 16 ottobre 2024

20241016 Antropologia culturale 2024-25 Mod A Lez 07 Tematiche residue da "appunti introduttivi"

Ripresa degli argomenti e organizzazione del corso

La lezione inizia con un riepilogo della programmazione e della struttura del corso, sottolineando la necessità di collegare temi già trattati con quelli futuri. L’insegnante introduce il concetto di "cucinare con gli avanzi", ossia riprendere elementi precedenti per costruire nuove connessioni. Viene posta l’attenzione su alcuni argomenti chiave che necessitano di chiarimenti, come la distinzione tra cultura alta e cultura bassa, il mutamento culturale, e il rapporto tra antropologia, storia, sociologia e filosofia.

Cultura alta, cultura bassa e trasmissione del sapere

Si affronta il tema della gerarchizzazione culturale, ovvero il modo in cui le società attribuiscono valore differente a diverse forme di conoscenza. L’antropologia, a differenza delle discipline normative, non impone gerarchie, ma studia come esse emergano nei contesti culturali. Si cita l'esempio della trasmissione del sapere artigianale, come il lavoro di un forcolaio veneziano, evidenziando la differenza tra il sapere linguistico e il sapere corporeo, che può essere tramandato solo attraverso la pratica diretta.

Relazione tra antropologia, storia, sociologia e filosofia

Si analizza il rapporto tra antropologia e altre scienze sociali. Tim Ingold definisce l'antropologia come una "filosofia con la gente dentro", in quanto esplora le domande fondamentali dell’esistenza attraverso l’esperienza concreta delle persone. La differenza principale tra antropologia e sociologia risiede nel metodo: mentre la sociologia si concentra su fenomeni quantitativi e sulla modernizzazione, l’antropologia utilizza l’approccio emic, studiando le esperienze soggettive e le costruzioni culturali.

Origini dell’antropologia e il concetto di "residuo"

L’antropologia nasce come scienza dei residui della modernità, ovvero delle popolazioni e dei gruppi sociali che non vengono assorbiti dal processo di industrializzazione e urbanizzazione. In origine, studiava sia le comunità contadine nelle società occidentali sia i cosiddetti "primitivi" nelle colonie. Oggi, però, il concetto di "primitivo" è superato e l'antropologia si occupa di fenomeni di ibridazione culturale, sincretismo e globalizzazione.

Il concetto di tradizione: invenzione e continuità

Si discute il concetto di tradizione, sottolineando come essa sia spesso una costruzione narrativa piuttosto che una continuità storica autentica. Si portano esempi come il kilt scozzese, nato da esigenze industriali, e il tatuaggio tribale, che oggi viene reinterpretato in contesti diversi. Si menziona anche Eric Hobsbawm e il concetto di "invenzione della tradizione", mostrando come molte usanze apparentemente antiche siano in realtà piuttosto recenti.

Mutamento culturale e identità

L’identità culturale è spesso percepita come statica, ma la realtà è caratterizzata da continui spostamenti di pratiche, idee e oggetti nel tempo e nello spazio. L’antropologia studia proprio questi movimenti e le tensioni tra conservazione e innovazione. Si analizza il caso della 'nduja calabrese, che ha origini francesi, e del tè inglese, introdotto attraverso le rotte coloniali. Questi esempi mostrano come il mutamento culturale sia costante, anche quando le tradizioni sembrano radicate.

L’illusione della cultura statica e il nazionalismo

Si introduce il tema del nazionalismo, mettendo in discussione la visione delle culture come entità immutabili. L'idea che esista un'epoca originaria in cui ogni nazione era "pura" è una costruzione ideologica, spesso strumentalizzata per scopi politici. In realtà, le culture sono sempre state in evoluzione, influenzate da migrazioni, scambi e innovazioni.

Conclusione e anticipazione delle prossime lezioni

La lezione si conclude con un'anticipazione degli argomenti futuri, tra cui l’antropologia dell’arte, la parentela e il nazionalismo. Si sottolinea l'importanza del test come strumento di verifica dell'apprendimento, non solo delle lezioni ma anche dello studio autonomo dei testi. L'invito finale è quello di riflettere sul valore delle tradizioni, non come elementi fissi, ma come strumenti narrativi di costruzione identitaria.