Lezione 12 – Arjun Appadurai e
la deterritorializzazione della cultura 28 10 2024
Introduzione alla lezione
La lezione odierna è incentrata
sull’approfondimento del saggio di Arjun Appadurai, già introdotto nella
lezione precedente, con un focus particolare sul tema della deterritorializzazione
della cultura. L’autore, antropologo indiano specializzato in area
studies, si distingue per un approccio che coniuga lo studio della
globalizzazione con un forte interesse per la politica internazionale e i
processi culturali connessi. La sua opera più influente, Modernity at Large
(tradotto in italiano come Modernità in polvere), è al centro
dell’analisi odierna.
Il punto di partenza: cultura e
territorio
Uno degli assunti fondamentali
del saggio di Appadurai è che la modernità ha progressivamente sganciato la
cultura dal territorio. L’autore evidenzia come nella storia dell’umanità
vi sia stata una tensione costante tra forze che tendono a integrare
territori e popolazioni (imperi, religioni universali, scambi economici) e
forze locali che, invece, resistono alla centralizzazione e frammentano
questi tentativi di unificazione. Storicamente, la capacità di mantenere unità
culturali era limitata dalla tecnologia, dai mezzi di comunicazione e dalla
difficoltà di controllare territori vasti.
Il concetto di
"ecumene" e la sua frammentazione
Un concetto chiave introdotto
da Appadurai è quello di "ecumene", termine di origine greca
che indica la "terra abitata" e, per estensione, uno spazio
culturale condiviso. Nel passato, le ecumeni si formavano attorno a imperi,
religioni e reti commerciali, ma erano sempre esposte al rischio di
frantumazione. Un esempio classico è la Magna Grecia, in cui le colonie
greche mantenevano un legame culturale con la metropoli d’origine attraverso
strumenti arguti ma fragili come il symbolon, un segno materiale diviso
in due parti che permetteva ai discendenti dei coloni di riconoscersi e
mantenere connessioni economiche e sociali.
Fonti della conoscenza:
esperienza e rappresentazione
La lezione introduce una
distinzione fondamentale tra due fonti della conoscenza:
1.
Esperienza
diretta e sensoriale: ciò che
apprendiamo attraverso i sensi, il contatto diretto con il mondo.
2.
Rappresentazione: conoscenze derivate da simboli, narrazioni, scrittura,
immagini, che non derivano dall’esperienza immediata.
Questa distinzione è cruciale
perché dimostra come la modernità abbia ampliato enormemente la dimensione
della rappresentazione, rendendola predominante rispetto all’esperienza
diretta.
Le rivoluzioni della
rappresentazione
Qui sintetizziamo anche quel
che ci ha già detto Yuval Harari, per analizzare le
trasformazioni delle modalità di rappresentazione, individuando tre grandi
rivoluzioni:
1.
Linguaggio
(70.000 anni fa): il linguaggio ha
permesso agli esseri umani di trasmettere informazioni oltre l’esperienza
immediata, creando racconti e storie che hanno plasmato la cultura.
2.
Scrittura
(circa 5.000 anni fa): la scrittura
ha permesso di oggettivare il sapere, separando il momento della creazione da
quello della fruizione. Ha reso possibile la conservazione e la trasmissione
precisa della conoscenza nel tempo.
3.
Stampa (XV
secolo): con la stampa, la scrittura
diventa merce, dando origine al capitalismo a stampa e alle comunità
immaginate, concetti chiave per comprendere la nascita delle identità
nazionali (Benedict Anderson).
L’era elettronica e la
globalizzazione
La trasformazione più radicale
della rappresentazione è avvenuta con la nascita delle tecnologie elettroniche,
che hanno annullato le distanze e il tempo. Il telegrafo, prima,
e i media elettronici, poi, hanno creato una simultaneità prima
impensabile. Questo ha modificato profondamente la nostra concezione del mondo,
rendendo possibile immaginare una realtà condivisa con persone lontane migliaia
di chilometri.
L’esempio della fotografia
mostra come una tecnologia possa plasmare la memoria collettiva: tutti
riconoscono volti come quelli di Abraham Lincoln o John F. Kennedy, ma
pochi sarebbero in grado di identificare un proprio antenato vissuto nella
stessa epoca. Questo dimostra come la memoria culturale sia plasmata dai media
e dalla circolazione delle immagini.
Il nuovo immaginario globale
La conseguenza ultima di questa
evoluzione è che l’immaginario contemporaneo è diventato un enorme magazzino
di memoria globale accessibile a tutti. Non si tratta più di una memoria
personale o locale, ma di una costruzione collettiva influenzata da
film, musica, social media e altre forme di cultura di massa. Un esempio
emblematico è il karaoke filippino, in cui giovani cantano con passione
brani di un passato che non appartiene direttamente alla loro cultura, ma che è
stato assimilato attraverso i media globali.
Conclusioni e spunti per la
prossima lezione
La lezione si conclude con una riflessione sull’effetto della deterritorializzazione sull’arte e sulla cultura contemporanea. L’immaginario collettivo non è più vincolato a uno spazio geografico specifico, ma è plasmato da una rete globale di rappresentazioni. La prossima lezione approfondirà ulteriormente questo tema, esaminando il ruolo dell’arte e dei media nella costruzione delle identità contemporanee.