2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

giovedì 30 settembre 2010

Sala Falqui

Entrare in sala Falqui della Nazionale
tornare in biblioteca dopo tanto tempo
mi dà una sensazione quasi erotica
di piacere.

Non ho il computer, il cellulare è spento.
Sono qui solo, unplugged
a fronteggiare i libri che ho chiesto al banco.
C’è silenzio, e scrivo questi versi
a mano sul quaderno degli appunti.

Guardo i libri sui lunghi scaffali
e loro non si agitano, non lampeggiano,
non fanno neanche boing se con le dita
sfioro i dorsi dai colori spenti.

I libri non sono interattivi
qui dentro spetta a me accendere il cervello
e attivare il sistema operativo Piero 1.0.
Sono io il terminale, non ci sono input imprevisti
che non posso gestire direttamente.
Tutta l’informazione che mi colpisce
e che devo elaborare
è selezionata con cura
dalle mie mani e dai miei occhi:
se non giro la pagina, se non punto gli occhi sul foglio
sono completamente isolato dal mondo.

Sono il guardiano di porta del mio sapere
e della mia anima.
Sto studiando.

Venice is a fish

Sarà un weekend impegnativo. Ai miei studenti di Urban & Global Rome voglio far vedere Venezia da una prospettiva alternativa. Andremo a piazza San Marco, certo, passeremo il ponte di Rialto, ci mancherebbe, ma incontreremo anche Ludovico De Luigi che ci racconterà la sua Venezia onirica, andremo a visitare Sant'Erasmo, con i suoi campi di verdure e l'apicoltura del signor Elio Mavaracchio (miele di carciofo! miele "salso"). E poi incontreremo nel suo laboratorio un "forcolaio" veneziano, e andremo a vedere in fondo alla Giudecca le case popolari costruite negli anni Settanta a Sacca Fisola. A tutti ho dato da leggere la traduzione inglese di Venezia è un pesce, di Tiziano Scarpa, come viatico di un modo diverso di guardare a questa città.


Dear Urban and Global students,
with this I'm sending you some relevant information for our trip to Venice. You may want to print a copy of this mail for further reference during the weekend.

 We leave by train at 8.45 am, please be at the station Termini (metro line B towards Rebibbia, third stop) about 8.15. We gather at the beginning of track number 1 (since we don’t know yet the track number of our train). If you miss the train you miss the tour I suppose, so be in time!

We arrive in Venice Santa Lucia at 12.30 pmImmediately I’ll buy the boat tickets for everybody. It’s a 48 hour ticket. You’ll get yours and you’ll always take it with you during the whole weekend. Important: remember to return it to me on the train on our way back to Rome, since I’ll need the tickets for the reimbursement.
From the Station we take the boat line 1 to our hotel, (Hotel Messner, Fondamenta Ca’ Balà, Dorsoduro, tel. 041-522-7443). It takes approx. 45 minutes so we should be at the Hotel at 1.30 pm. Check in, leave your bags in the rooms and at 2.00 we gather for a tour of the city. Firstly we visit the Chiesa della Salute, then we cross Accademia bridge and we go towards San Marco square. We visit the Basilica, then we go to Rialto, crossing the bridge we head to San Polo and Chiesa dei Frari. In time to be at Campo Santa Margherita by 5.30 pm, where we’ll visit the painter Ludovico De Luigi in his atelier. We are done by 7.00 pm. From there you are free to have your dinner wherever you prefer. I’ll suggest you two or three places where you can eat.

Saturday morning we gather after breakfast at 8.40 am. On foot we go to Fondamenta Nuovecrossing the Gran Canal on the cheap “traghetto”. We have to be at the boat stop in Fondamenta Nuove in time to catch the boat number 13 at 10.05 am to the island ofSant’Erasmo, where we arrive at 10.45. We rent bikes (better ones than what we got last week, sorry!) and we tour the island and visit a beekeeper and maybe a farm. At 12.30 we bring back the bikes and go to the restaurant. After lunch we take the boat back to Venice at3.30 pm. From Fondamenta Nuove we go on foot to Santa Maria Formosa area, where at 4.45 we meet in his workshop the “forcolaio”, a very special kind of carpenter who builds the "forks", ie he wooden supports for the the oar of the gondola.
After the visit, about 6.00 pm, we go together for a short and mild “bacaro tour”, where bacaro is the traditional Venetian pub. We collect some money (I’d say that 10 euros each would be enough) and Elia (a former Venetian student and now artist, anthropologist and good friend of mine) shall take us to the secrets of the Venetian art of enjoying friendship while sipping some good wine and tasting “cicchetti” (Venetian appetizers). Just in time to be back at the hotel at 8.00 pm for supper.

Sunday morning we leave the hotel at 9.00 am. We can leave our luggage provided you packed everything and freed your rooms. We cross on boat the Canale della Giudecca and we visit the island Giudecca (and maybe its two churches, if we have time) up to Sacca Fisola, the westernmost part of the island (actually, another island connected by a bridge), where you’ll see some public scheme (housing) buildings while I’ll tell you something about Venice, industrialization in the 20th century and its ecological and social impact (pollution, “acqua alta”, depopulation).
Then (about 10.45) you’ll have some time for shopping or strolling around. My suggestion is that you go back to the hotel, collect your bags and go for a walk towards the train station (Santa Lucia), otherwise go around without luggage, but allow enough time to pick your staff at the hotel and catch the boat to the station (it takes 35 minutes by boat from “salute”, the stop closest to our hotel, to the train station).
We have our train at 2.27 pm but if we manage to be together at about 1.00 pm I’ll take you to a place where you can have a very good and relatively cheap lunch with “tramezzini” (Venetian sandwiches).

Do not forget a raincoat and proper shoes, as there will be rain on Friday afternoon and possibly Sunday. Venice is not Rome, and the weather in October can be rather annoying.

I’ll bring photocopies of the city maps for all, your insurance and some useful phone numbers. Write back if you have any questions or doubts.

For your information, this is a summary of meals and possible extras:
  • Boat tickets: paid by TC
  • Accommodation and breakfast in Hotel: paid by TC
  • Friday lunch: picnic lunch by the nuns, paid by TC
  • Friday supperon your own
  • Saturday lunch: at the restaurant, paid by TC
  • Saturday “bacaro tour”on your own (about 10 euros)
  • Saturday supper: at the Hotel, paid by TC
  • Sunday lunchon your own 



That’s all, folks, see you Friday morning!

venerdì 24 settembre 2010

La Rete29Aprile coordina i ricercatori italiani nella protesta in corso. Protesta che dovrebbe essere di tutta l'Università italiana, ma che per i misteriosi casi della coscienza politica è diventata la "protesta dei ricercatori". Un po' come se la questione della pena di morte riguasse solo Amnesty International o Nessuno tocchi Caino, dato che se ne occupano solo loro...
Comunque, vale la pena di leggere il comunicato a commento della conferenza stampa di Gelmini e Tremonti dell'altro ieri. Ne riporto alcuni passaggi particolarmente condivisibili, che confermano il paternalismo dei nostri governanti e l'assoluta inaccettabilità del loro tono tra il ricattatorio materiale (se non ci lasciate fare la "riforma" non vi diamo neppure i soldi per gli stipendi) e il ricattatorio morale (l'appello al nostro senso di responsabilità e a non abbandonare gli studenti):
Per anni i ricercatori universitari hanno, con senso di responsabilità, tenuto corsi con dedizione e passione come fossero professori, quasi sempre a titolo gratuito, sottraendo tempo e risorse alla ricerca che (come dice il loro nome) è il loro compito primario. Quest’anno, come tutti gli altri anni, i ricercatori universitari lavoreranno a tempo pieno facendo con immutato senso di responsabilità la ricerca e la didattica che compete loro: tutoraggi, assistenza agli studenti, seminari, senza incarichi aggiuntivi di volontariato.
L’indisponibilità a tenere corsi non è pigrizia, ma un segno di protesta contro il DdL in discussione oggi alla Camera. Sono più di 10.000 i ricercatori che in 35 atenei si sono uniti alla più grande protesta dei ricercatori italiani mai verificatasi
[...]
I ricercatori respingono al mittente, con decisione, l’accusa di essere la causa dei disagi e della negazione del diritto allo studio. I ricercatori universitari faranno appieno il loro lavoro istituzionale, mentre il DdL e i tagli ai finanziamenti e al personale che si sono abbattuti sull’università, con pervicace rifiuto al confronto, a partire dal giugno 2008 (DL 112, poi legge 133/08) sono la vera causa di disagio e negano il futuro delle Istituzioni di formazione e ricerca pubbliche, a favore di strutture private.
[...]
Eppure, a fronte delle sempre più estese proteste, nella conferenza stampa non abbiamo sentito niente di concreto: nessuna cifra, nessuna scadenza precisa, nessun impegno concreto e neppure nessuna promessa: soltanto parole e rimbrotti.
I Ricercatori della Rete29Aprile, stigmatizzano poi l’inaccettabile ricatto di fronte al quale i Ministri Gelmini e Tremonti mettono l’Università: accettate la riforma così com’è e dopo, nei tempi, nei modi e nelle quantità che decideremo, vi daremo nuovi fondi.
[...]
L’Università che forma i nostri giovani, i nostri figli per essere gli imprenditori, i politici, i formatori e gli scienziati di domani ha il diritto di essere considerata un valido interlocutore a pieno titolo. In quest’ottica, l’invito a continuare a fare volontariato per consentire al DdL Gelmini e ai tagli di demolire in tutta tranquillità e senza turbamenti l’università pubblica italiana è una richiesta totalmente irricevibile.

mercoledì 22 settembre 2010

Mammina e papino in conferenza stampa

Oggi pomeriggio conferenza stampa congiunta del ministro Gelmini e  del ministro Tremonti.
La Gelmini, è partita dicendo che la conferenza è stata convocata per presentare alcuni punti raggiunti, come l’emanazione del Decreto ministeriale 7 sui requisiti minimi, che sostanzialmente riprende la famosa (o famigerata) nota 160 che era ferma da oltre un anno.
Vengono confermati i principi di quella nota: riduzione dei CdL, non ci sarà più spazio per criteri “provvisori” per tenere in vita corsi che non rispettino i requisiti minimi, 5-6 CFU minimo per modulo, federazione e/o fusione di Atenei con pochi studenti, 10% del finanziamento in base alla qualità (lo scorso anno era del 7%), anagrafe delle pubblicazioni per monitorare il lavoro di rircerca.
Cose note, che aspettavano da oltre un anno di essere ratificate. Nessuna novità oltre il criterio puramente ragionieristico che ha mosso il decreto, l’assoluto appiattimento dell’Università sui conti economici, senza alcuna considerazione per il valore culturale e scientifico degli effettivi corsi. Se un corso “ha pochi studenti”  si chiude, e poco importerà se i corsi di astrofisica avranno certamente pochi studenti.
Sui ricercatori la ministra è stata geniale. Ha spiegato l’intenzione del governo a favorire i ricercatori “migliori”, ma non ha detto in alcun modo come questi migliori verranno valutati.
Sulla sospensione della didattica la sua perla retorica:
“L’interruzione della didattica non si capisce cos’è. Non è uno sciopero perché non comporta una riduzione dello stipendio…”
Non dice che NON ABBIAMO ALCUN OBBLIGO DI FARE DIDATTICA, ma ci fa passare per “fannulloni”, che possono permettersi di non lavorare tanto lo stipendio non viene toccato.
Poi Tremonti ha messo le cose in chiaro con i Rettori:
Riforma universitaria = dotazione finanziaria
In pratica: se si fa la riforma il governo riapre i cordoni della borsa, altrimenti possiamo crepare tutti. Ma non dice nulla, assolutamente nulla, sull’effettiva dotazione, che non sappiamo a quanto ammonterà e per quali spese effettive (dato che il decreto parla solo di tagli, non di investimenti).
Nel finale la Gelmini esplicita con il suo notorio candore il ricatto che Tremonti aveva detto in modo meno velato: “ risorse in cambio di riforme”.
Alla fine, quando dice di star riassumendo, la ministra butta lì che tra le priorità ci sarebbero non meglio precisati “concorsi da associato per premiare i migliori ricercatori”, di cui non avevamo avuto notizia per tutta la conferenza.
Si alzano e se ne vanno.
La cosa che più mi ha fatto incazzare è il paternalismo delle loro parole
Soldi, sì, ma se fate i bravi.
Quanti?
Vedremo, non vi preoccupate, ci pensiamo noi. Per i bimbi buoni ci sarà anche la promozione.
E come si fa ad essere considerati buoni?
Eh, bricconcelli, dai che lo sapete, su, non fateci dire troppo! Lo sapete che poi così la sorpresa si rovina!  E ora a nanna, su, tutti quanti, lattuccio e via si va, che domani è una giornata lunga e dovete andare a scuola.
Mi viene da vomitare, a 47 anni, ad essere trattato come un bambino capriccioso, un po’ blandito e un po’ rimproverato. Mi aspettavo dati, numeri, o proposte chiare, e invece mi dovrei accontentare di vaghe promesse, ricatti e appelli al mio senso di responsabilità.
Grazie, ho deciso di smettere. 

Occhio non vede cuore non duole

Pubblico con partecipata preoccupazione questa lettera che i  Medici per i diritti umani e i Medici contro la tortura hanno inviato al Sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Dobbiamo ridurre il più possibile gli spazi di legittimazione di pratiche di esclusione ed emarginazione realizzate con il "nascondimento" di tutto quello che è anomalo, fuori dalla norma, non omologato e non omologabile. Dobbiamo continuare a pensare la vita come uno spazio delle differenze, da provare ad articolare per quanto la cosa sia difficile, e non uno spazio delle identità uniformi da inscatolare dentro i nostri sistemi di sicurezza.
Trattamento sanitario obbligatorio per le persone senza dimora con malattie mentali.
Dal Sindaco di Roma una proposta inquietante.
Lettera aperta al Sindaco di Roma, Gianni Alemanno
Egregio Signor Sindaco,
Medici per i diritti umani (MEDU) e Medici contro la tortura esprimono forte preoccupazione nell'apprendere dai mezzi di informazione della Sua recente proposta di estendere dagli attuali 14 giorni a 6 mesi il periodo massimo di trattamento sanitario obbligatorio (TSO) per le persone senza dimora con malattie psichiatriche. Lo sconcerto è accresciuto dal fatto che tale proposta è stata formulata in occasione del Suo recente incontro con il Ministro dell’Interno, in cui, da quanto si è appreso, si è parlato delle nuove misure sulla sicurezza urbana riguardanti "nomadi, prostituzione e vagabondaggio". Come Lei sa , il TSO, istituito dalla legge 180, è un atto composito, di tipo medico e giuridico, che consente l'imposizione di determinati accertamenti e terapie a una persona affetta da malattia mentale. Il concetto di T.S.O, basato su valutazioni di gravità clinica e di urgenza, è quindi procedura esclusivamente finalizzata alla tutela della salute e ha sostituito la precedente normativa riguardante il "ricovero coatto" (legge 36/1904) basato sul concetto di "pericolosità per se e per gli altri e/o pubblico scandalo", fortemente orientato verso la difesa sociale. Con la legge 180, meglio nota come legge Basaglia, si arrivò in Italia alla chiusura dei manicomi (spesso vere e proprie istituzioni lager, dove isolare la follia, la devianza o la semplice emarginazione) per riconoscere appieno i diritti e la dignità dei pazienti, seguiti e curati da ambulatori territoriali. La legislazione attuale prevede tra l'altro la possibilità di prolungare il TSO oltre le due settimane qualora i medici curanti lo ritengano necessario.
La Sua proposta, Signor Sindaco, prevede la possibilità di allungare i tempi del TSO per i "clochard" con malattie mentali in modo da consentire un'assistenza obbligatoria in strutture realizzate ad hoc. Il numero crescente delle persone che, per molteplici ragioni personali e sociali, si trovano a vivere loro malgrado sulla strada è una drammatica realtà, soprattutto in una città come Roma, dove si calcola che vivano oltre 7000 persone senza fissa dimora. Un problema sociale così complesso ha certamente bisogno di iniziative straordinarie e innovative per garantire assistenza sociale, psicologica e medica orientate all'integrazione e all' abbattimento delle barriere che generano esclusione. La Sua proposta non ci sembra però andare affatto in questa direzione non affrontando, tra l'altro, nessuna delle cause che portano le persone sulla strada. Al di là delle evidenti difficoltà di ordine pratico e giuridico, la creazione di apposite strutture dove trattenere per lunghi periodi in assistenza sanitaria obbligatoria un gruppo di cittadini considerati "speciali"
perché senza una dimora e perché affetti da una malattia mentale, implica il rischio evidente di creare una nuova istituzione totale dove poter segregare e isolare dal resto della società "chi può essere pericoloso per se e per gli altri e/o di pubblico scandalo". 
Una proposta che, lungi dall'affrontare alla radice la gravità del problema, appare una preoccupante involuzione rispetto allo spirito della legge 180, orientata piuttosto ad un ritorno al "ricovero" coatto dell'inizio del secolo scorso e all'approfondimento dei solchi dell'esclusione e della discriminazione. Signor Sindaco, in vista di provvedimenti legislativi che richiedono alle istituzioni l'assunzione di una straordinaria responsabilità etica e sociale, Medici per i diritti umani e Medici contro la tortura auspicano che l'Amministrazione comunale di Roma possa rivedere la propria posizione su un tema così rilevante che riguarda la sofferenza umana e i diritti fondamentali della persona.
Ufficio stampa – 3343929765 / 0697844892
Medici per i diritti umani, organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale, ha fornito dal 2004 assistenza e orientamento socio-sanitario a oltre 7000 persone senza dimora di Roma nell’ambito del progetto Un Camper per i Diritti.
Medici contro la tortura onlus, da dieci anni a Roma, accoglie e cura le persone vittime di trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

lunedì 20 settembre 2010

Indicazioni (poesia di Billy Collins)

Recitare questa poesia qui, a Pietralata, tra uno sfasciacarrozze e una pompa di benzina, all’inizio fa male al cuore. Ma poi viene voglia di salire verso via della magnetite, dove le case basse hanno ancora il pergolato con l’uva ora matura, e se ti metti uno zaino sullo spalle puoi veramente credere di aver fatto una gita. Certo, entrare in una foresta di aceri e frassini è altra cosa, lo riconosco, ma sempre più penso alla frase finale di “Oltre il giardino”, vale a dire che “la vita è uno stato mentale”, e non escludo che Billy Collins abbia scritto questi versi in qualche freddo appartamento cittadino.


Directions

You know the brick path in the back of the house,
the one you see from the kitchen window,
the one that bends around the far end of the garden
where all the yellow primroses are?
And you know how if you leave the path
and walk into the woods you come
to a heap of rocks, probably pushed
down during the horrors of the Ice Age,
and a grove of tall hemlocks, dark green now
against the light-brown fallen leaves?
And farther on, you know
the small footbridge with the broken railing
and if you go beyond the you arrive
at the bottom of sheep's head hill?
Well, if you start climbing, and you
might have to grab on to a sapling
when the going gets steep,
you will eventually come to a long stone
ridge with a border of pine trees
which is a high as you can go
and a good enough place to stop.

The best time for this is late afternoon
en the sun strobes through
the columns of trees as you are hiking up,
and when you find an agreeable rock
to sit on, you will be able to see
the light pouring down into the woods
and breaking into the shapes and tones
of things and you will hear nothing
but a sprig of a birdsong or leafy
falling of a cone or t through the trees,
and if this is your day you might even
spot a hare or feel the wing-beats of geese
driving overhead toward some destination.

But it is hard to speak of these things
how the voices of light enter the body
and begin to recite their stories
how the earth holds us painfully against
ts breast made of humus and brambles
how we will soon be gone regard
the entities that continue to return
greener than ever, spring water flowing
through a meadow and the shadows of clouds
passing over the hills and the ground
where we stand in the tremble of thought
taking the vast outside into ourselves.

Still, let me know before you set out.
Come knock on my door
and I will walk with you as far as the garden
with one hand on your shoulder.
I will even watch after you and not turn back
to the house until you disappear
into the crowd of maple and ash,
heading up toward the hill,
percing the ground with your stick.

Indicazioni

Hai presente il sentiero di mattoni sul retro della casa,
quello che si vede dalla finestra della cucina,
quello che piega attorno al confine del giardino
dove ci sono tutte le primule gialle?
E hai presente che se lasci il sentiero
e sali dentro al bosco arrivi
a un cumulo di massi, probabilmente spinti
giù durante gli orrori dell’Era Glaciale,
e a un boschetto di alti abeti, ora verde scuro
sullo sfondo degli aghi caduti, marrone chiaro?
E più avanti, hai presente
il piccolo ponte con le assi divelte
e che se lo passi arrivi
ai piedi di quella collina che sembra una testa di pecora?
Be’, se cominci ad arrampicarti,
e potresti aver bisogno di afferrarti a un arbusto
quando la salita si farà ripida,
alla fine giungerai a una lunga cresta
di pietra contornata di pini
che è il punto più alto lì attorno
e un posto ben adatto per fermarsi.

Il momento migliore è il pomeriggio tardi
quando il sole scintilla attraverso
le colonne degli alberi mentre sali,
e quando troverai un masso adatto
per sederti, sarai in grado di vedere
la luce che filtra nel bosco
spezzandosi nelle forme e nei colori
delle cose e non sentirai nulla
se non un accenno di canto d’uccello
o il cadere attutito di una pigna o una noce tra gli alberi,
e se proprio sei fortunata potresti addirittura
vedere una lepre o sentire il battere d’ali delle anatre
che volano sopra di te dirette chissà dove.

Ma è difficile parlare di questo,
di come le voci della luce ti entrano dentro
e iniziano a raccontare le loro storie
di come la terra ci trattiene con dolore
contro il suo petto di humus e rovi
di come noi, che presto spariremo, pensiamo
agli esseri che continuano a tornare
più verdi che mai, all’acqua sorgiva che scorre
attraverso un prato e all’ombra delle nuvole
che passa sulle colline e sul terreno
dove posiamo fremendo nel pensiero
accogliendo dentro noi la vastità lì fuori.

Però fatti sentire prima di avviarti.
Vieni a bussare alla mia porta
e ti accompagnerò fino in fondo al giardino
tenendoti la mano sulla spalla.
Addirittura, guarderò avanti a te e non mi girerò
verso casa fino a quando non sarai sparita
nella folla di aceri e di frassini
diretta verso la collina
mentre segni il terreno con il tuo bastone.

martedì 14 settembre 2010

Dispensa

Spero di non aver attratto con il titolo studenti che devono fare l'esame, ma è di tutt'altra dispensa che voglio parlare. Voglio parlare della dispensa intesa come pantry, come quello spazio (se possibile: quella stanza) dove la massaia riponeva i cibi di lunga conservazione (vino, olio, salumi, aglio secco, pereroncino, ecc.) o di preparazione domestica (passata, marmellate, verdure sottolio o sottaceto e conserve in generale).
Ecco, la dispensa sta diventando un luogo riccorente della mia immaginazione. Ricordo molto bene quella nel sottoscala di casa di mia zia Teri, in Francia, mentre a casa mia, a Chirignago, non c'era veramente uno spazio deputato per questo scopo.
La dispensa è per per un luogo dell'anima, uno spazio domestico nel senso più pieno, che in qualche modo provo a riprodurre appena possibile. Quest'estate, a Erice, ho fatto tre tipi di marmellate: more, limoni e fichi, tutte rigorosamente con frutta raccolta o dono di parenti (non acquistata) e siamo tornati con venti litri d'olio d'oliva di produzione di uno zio di Valeria. A casa a Roma ho travasato l'olio , e portato la marmellata che non abbiamo mangiato in Sicilia. Vita, la mamma di Valeria, ci ha preso una treccia d'aglio locale e una di cipolle, oltre all'origano selvatico. In frigo ho messo diverse mele cotogne, in attesa di recuperare la ricetta per la cotognata (che non ho mai fatto).
Quando Bjorn e Francesca, i nostri amici, un anno fa hanno venduto la loro casa di Zagarolo per trasferirsi a Roma, ho soffferto molto di meno per la perdita della piscina che per quella degli alberi di ciliegie, fichi e castagne, oltre che per gli olivi e per il vino dolce di Antonio, il loro vicino.
La dispensa è legata al cibo come autoproduzione e relazione sociale, vale a dire due dimensioni praticamente estinte nel consumo alimentare moderno.
E' nello "spirito della dispensa" che stamattina con Amanda abbiamo "vendemmiato" l'uva del nostro terrazzo. Due anni fa Valeria ha portato a casa un paio di rametti tisici che le aveva regalato un vicino di casa dei genitori, ed eccoci qui, due anni dopo, a mangiare un'uva deliziosa, dolce, senza la minima traccia di trattamento chimico.
Con lo stesso spirito da ripostiglio assistiamo al maturare dei peperoncini, dopo aver mangiato i fagiolini giusto prima di partire per la Sicilia (e l'unico peperone appena tornati...).
Sicuramente vagheggio, provo nostalgia per un passato agreste che io non ho mai vissuto (se non nelle visite alle zie di papà, nella campagna di Venezia), ma mi sembra che lo spazio della dispensa avesse un valore simbolico potentissimo, che abbiamo smarrito: per fare una dispensa avevi bisogno di pazientare, di lavorare sodo di relazionarti con altre persone, e i prodotti della dispensa, a loro volta, erano motivo di socializzazione.  Per fare la passata ci si metteva in molti, per far le marmellate prima dovevi aver raccolto la frutta, lavoro che mai si faceva da soli, e anche solo andare a prendere il vino alla cantina era l'occasione per aprire una soppressa e tagliare qualche fetta da mangiare con il pane biscottato, in compagnia.
Insomma, attorno alla dispensa girava una socialità diffusa, fatta di corpi reali (affamati, assetati, golosi).
Mica social network, mica.

lunedì 13 settembre 2010

Le cose importanti

Bussa al mio studio una studentessa. Non è una ragazza, ma una donna adulta, lavora (fa un bellissimo lavoro, anzi) ma vuole ancora studiare. Ha preso 30 all’esonero scritto, e 30 ai due orali cui si è presentata (sì, diciamo che gli studenti che danno Antropologia culturale hanno un programma impegnativo da studiare). Ci eravamo accordati, per la “tesina” di fine modulo, su un tema da svolgere.

Contrita, è venuta a dirmi che non ce la fa a fare quel tema, e che vorrebbe cambiare argomento. Mi dice che ha problemi di salute, concordiamo il nuovo argomento (che ha scelto lei e che mi va benissimo) e prima di uscire, come nulla fosse, mi dice che ha un tumore al seno, e che dovrà essere operata a giorni.

Però si è presa la briga di venire a ricevimento per chiedermi il permesso di cambiare l’argomento della tesina. Non lo so se il mondo le è crollato addosso, se è disperata, se sta riconsiderando la lista delle sue priorità: io vedo solo una studentessa che è venuta a chiedermi il permesso di cambiare argomento della sua tesina, e non si è limitata a mandarmi una mail o a fare una telefonata, ma si è sbattuta fino a Tor Vergata per dirmelo a voce.
Siamo “amici” su Facebook con questa studentessa, ma non c’è social network che avrebbe reso possibile quel che sto sentendo dentro, dopo aver visto la sua faccia, dopo aver sentito la sua voce. E se mi avesse contattato su Facebook NON avrei potuto stringerle la mano forte, mentre le auguravo in bocca al lupo.

giovedì 9 settembre 2010

Torno a piedi dal nido di Amanda (Marcovaldo)

Forse è colpa di un caro amico, che mi ha appena raccontato il suo trasloco in campagna, forse è un'incipiente nostalgia dell'infanzia, quando la mia periferia era ancora tanto campagna, ma le passeggiate a Pietralata per prendere Amanda al nido si stanno trasformando in un toccasana per il mio spirito, oltre che benefiche per il corpo.

Torno a piedi dal nido di Amanda

Ho più tempo per guardarmi attorno, ad esempio,
e molto, molto più tempo per guardare in aria.
Oggi il cielo era un corteo di ridicole salsicce da un lato
mentre dall'altro sembrava un lago
solcato da un motoscafista impazzito.
Fare foto alle nuvole è una mezza furbata, lo ammetto.
Ne esce fuori sempre qualcosa di "artistico"
anche se hai solo un cellulare da poco
Nuvole a Pietralata
e una mano famosa per rovinare ogni soggetto.
Ma le nuvole mi piacciono, e sono felice quando le posso guardare.
Più delle stelle, che invece mi incutono timore
con la loro fissa geometria
la loro algida e (è il caso di diro) siderale distanza.
Sotto alle stelle mi sento perduto sul serio
mentre le nuvole riescono a trasmettermi
una versione addomesticata dell'infinitezza.
Anche quando sono nere e minacciose
mi pare sempre di sentire
Altre nuvole a Pietralata
un accento umano nel loro presagire,
un tono quasi genitoriale, premuroso.
Le nuvole sono le maestre dell'asilo
nido che percorriamo tutta la vita.

Rovi di more a Pietralata

mercoledì 8 settembre 2010

Eroi dei nostri giorni


Visualizza All'asilo di Amanda in una mappa di dimensioni maggiori

Per evitare il traffico di Pietralata che spesso è feroce, per fare un po' di moto (dato che il budget annuale non prevede più la piscina...) e per fare una cosa bella, ho cominciato a portare Amanda al nido a piedi (lei in passeggino, ovviamente).Sulla mappa vedete la linea rossa che è il percorso il macchina, mentre in verde potete seguire la scorciatoia che faccio a piedi. Passo davanti a una grossa clinica privata in cima a una collina, ma poi proseguo dentro la misteriosa periferia romana, per cui a sinistra ho un cantiere stradale (che continua attorno alla piscina che sarebbe dovuta servire per i mondiali di nuoto del 2009 e che invece ha aperto da qualche giorno) ma se mi buttassi a destra dopo la clinica mi perderei per un viottolo di campagna.
Insomma mi sembra di fare una cosa giusta, e forse riesco a limare qualche taglia di girovita, tra andare e tornare saranno in tutto un paio di km, non è proprio da buttare via, come esercizio fisico.
Ma proprio mentre mi congratulo da solo, mi vengono in mente i compaesani di mia nonna, che all'inizio del Novecento, da Salzano, ai margini della provincia di Venezia, ogni lunedì mattina si alzavano alle 4 per andare a lavorare, a piedi, nei primi stabilimenti di Porto Marghera. Si facevano 16 km al passo prima di cominciare il turno in fabbrica, di dieci ore. Tornavano il sabato sera, e la mattina della domenica, dopo la messa, andavano da Bacchion, il parroco, per chiedere il permesso per poter lavorare il pezzo di terra che avevano dietro casa.
Viviamo in un altro pianeta rispetto a loro, non c'è dubbio, ma sempre più spesso mi domando chi dei due (loro antichi, noi moderni) sia vissuto veramente sulla Terra.

lunedì 6 settembre 2010

L'uomo nello spazio (poesia di Billy Collins)

Questa me la dedico di cuore, per tutte le volte che ho seminato in pubblico la mia stronzaggine. E la dedico a tutti gli uomini che non se ne sono mai accorti, perché sarebbe ora che cominciassero.







Man in Space


All you have to do is listen to the way a man
sometimes talks to his wife at a table of people
and notice how intent he is on making his point
even though her lower lip is beginning to quiver,

and you will know why the women in science
fiction movies who inhabit a planet of their own
are not pictured making a salad or reading a magazine
when the men from earth arrive in their rocket,

why they are always standing in a semicircle
with their arms folded, their bare legs set apart,
their breasts protected by hard metal disks.


L'uomo nello spazio

Tutto quel che devi fare è ascoltare il modo in cui un uomo
a volte si rivolge alla moglie mentre sono a cena da amici
e far caso a come lui ci tenga a precisare la questione,
anche se il labbro inferiore di lei inizia a tremare,

e allora saprai perché le donne nei film
di fantascienza che abitano un pianeta tutto loro
non si vedano mai mentre fanno un'insalata o leggono una rivista
quando dalla terra gli uomini arrivano sul loro razzo,

perché invece se ne stiano sempre in piedi in semicerchio
le braccia conserte, le gambe nude ben piantate,
il seno protetto da dischi di rigido metallo.


Traduzione di Piero Vereni

venerdì 3 settembre 2010

Hic sunt leones

Marco Ventura, sul CdS del 29 agosto, parla dei “confini della chiesa valdese”, e lo fa in modo curioso o, direbbe lui, “strano”. Ci racconta che i valdesi sono gente di confine: “Oltre Pinerolo, la Val Pellice è Italia di confine”. Lì, nelle valli orientali delle Alpi i valdesi, “protestanti” ante litteram, hanno combattuto per la loro libertà di culto, sono stati perseguitati per secoli dalla Chiesa Cattolica senza piegarsi mai, pronti a risorgere nelle loro piccole e orgogliose comunità locali.
Per me, che non sono valdese e che ho lasciato il cattolicesimo molti anni fa, che sono del Nord ma ho sangue meridionale, che amo il mio Paese e insieme ne detesto alcuni tratti, i valdesi sono sempre stati un segno forte di discontinuità nello stereotipo nazionale, la garanzia che si può essere italiani in mille modi diversi, non necessariamente mangiando spaghetti con la pummarola, non obbligatoriamente sottomessi a versioni più o meno bieche, più o meno rispettabili di papismo, lontani dal “Franza o Spagna purché se magna”. I valdesi sono stati, da italiano, la garanzia che dentro l’espressione geografica Italia ci stanno un sacco di diversità da valorizzare, che un modello nazionale uniforme non ha mai preso piede, per fortuna, perché come nazione siamo (a volte sanamente, a volte patologicamente) legati ai nostri saperi locali, alle nostre storie un po’ comunali, un po’ valligiane.
In sintesi, per me, italiano non valdese, i valdesi sono stati uno stimolo e una garanzia, una bella comunità minoritaria e una parte integrante dell’identità complessiva, multiforme, variegata degli italiani.
Ventura però ci dice che sono “un piccolo popolo strano”, perché usano l’otto per mille per iniziative umanitarie e non per foraggiare il loro clero (che si sostenta con le decime della comunità); perché hanno per capo un pastore donna e, udite udite, “trovano fisiologico discutere in pubblico e contarsi”.
Ma oltre ad avere queste stranezze, i valdesi, nel loro ultimo sinodo, hanno stabilito che le unioni omosessuali possono essere benedette “laddove la chiesa locale abbia raggiunto un consenso maturo e rispettoso delle diverse posizioni” (che a me pare l’unica posizione sensata che si possa prendere sul tema) e hanno ribadito la loro contrarietà all’esposizione indiscriminata del Crocifisso nella scuola pubblica, dato che non è necessario essere Cattolici (o anche solo Cristiani) per essere buoni italiani, e loro ne sono la prova.
Ora, visto che i valdesi manifestano una posizione che non è esattamente identica a quella della Chiesa Cattolica, cosa ci dice il buon Ventura? Fa il giochino che alcuni italiani fanno dal 1200, vale a dire nega agli avversari il diritto di appartenenza alla comunità nazionale, con queste parole che sotto l’apparente bonomia sono di una ferocia etnica terribile nella loro volontà di purezza: “Questa Val Pellice è sempre più sul confine e sempre meno Italia”.
Quando ho letto queste due righe finali ho sentito un fremito lungo la schiena, prima di sdegno per questo squadrismo nazionalista (se non sei come “la massa”, allora non sei italiano) e poi di paura per quel che può presagire un simile modo di pensare.
Consiglio a Marco Ventura un bel giro su Google Maps, dove potrà verificare che la Val Pellice è territorio italiano a pieno diritto e pieno titolo. Essere italiani non significa necessariamente essere contrari ai matrimoni gay o volere il Crocefisso nelle scuole pubbliche, e in generale non significa nessuna scelta politica. Si può essere italiani da diverse prospettive, da tanti e contraddittori punti di vista, dato che quel che ci unisce è un patrimonio culturale, la condivisione di un orizzonte storico, la consapevolezza della posizione geo-strategica del nostro Stivale, e altri tratti “culturali” tra i quali, purtroppo, il vizio dell’ostracismo, la tendenza a considerare l’appartenenza nazionale un bene a disponibilità limitata, e quindi da negare a quelli che paiono diversi o, dice Ventura, “strani”. Negando italianità ai valdesi, quindi, Ventura dimostra di essere “tipicamente” italiano, e purtroppo glielo riconosco, anche se non mi piace. Ma ci sono, per fortuna, altri modi di essere pieni cittadini d questo martoriato Paese, e i valdesi sono sempre con noi, tra noi, noi, per ricordarci che abbiamo delle alternative, sempre, e che non siamo necessariamente costretti ad accettare una visione miope e gretta della nostra identità collettiva.

Bimboteca

Vicino alla casa della nonna di Amanda (due anni) hanno aperto la primavera scorsa una bellissima biblioteca comunale, la Vaccheria Nardi, e già dal nome si capisce che hanno occupato proprio gli spazi di un vecchio casale di Colli Aniene. La Biblioteca si dispone su diversi edifici, e oltre allo spazio canonico per i libri, alla videoteca, alla sala per le conferenze e altre iniziative, c’è anche una biblioteca per ragazzi, molto ben organizzata, che in fondo alla sala ha addirittura uno spazio separato per i bambini da zero a tre anni. Insomma, se siete nel settore Est di Roma e avete figli un giro ve lo consiglio.
Per Amanda è uno spazio di lettura e gioco bellissimo, tanto più che in un angolo di questa saletta per i nanetti c’è una specie di enorme, coloratissimo e morbido puff (o poltrona di Fracchia per chi ricorda gli sketch con Gianni Agus) dove Amanda si può gettare a peso morto dopo aver preso addirittura un po’ di rincorsa.
A Erice, dove passiamo l’estate (nella casa di nascita della stessa nonna) c’è una biblioteca, e quando ci siamo andati per prendere qualche libro per noi e per Rebecca (che invece ha quasi nove anni e ha trovato Coraline, che ha divorato in pochi giorni) Amanda pretendeva di “fale tuffi”, visto che lo spazio si chiamava “biblioteca”, anche se con il suo buon senso dopo poco ha capito che questa biblioteca era “unaltla” e quindi non era necessariamente dotata di tutti comfort della Vaccheria.
A proposito del nome, Amanda non capirà il senso della parola “biblioteca” almeno fino al ginnasio, e quindi ha deciso che il posto dove ci sono i libri, dove ci si tuffa sui puff e dove con la sorella e altri bambini si può giocare cercando di non alzare troppo la voce non è una “biblioteca” (parola evidentemente prima di alcun senso) , ma una “bimboteca”. Anche se qualche solerte bibliotecaria (anzi: bimbotecaria) ha provato più volte a correggerla, lei rimane tetragona nella sua interpretazione: quello è uno spazio per i bimbi, una bimboteca, e ci tiene a farlo sapere in giro.