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martedì 14 settembre 2010

Dispensa

Spero di non aver attratto con il titolo studenti che devono fare l'esame, ma è di tutt'altra dispensa che voglio parlare. Voglio parlare della dispensa intesa come pantry, come quello spazio (se possibile: quella stanza) dove la massaia riponeva i cibi di lunga conservazione (vino, olio, salumi, aglio secco, pereroncino, ecc.) o di preparazione domestica (passata, marmellate, verdure sottolio o sottaceto e conserve in generale).
Ecco, la dispensa sta diventando un luogo riccorente della mia immaginazione. Ricordo molto bene quella nel sottoscala di casa di mia zia Teri, in Francia, mentre a casa mia, a Chirignago, non c'era veramente uno spazio deputato per questo scopo.
La dispensa è per per un luogo dell'anima, uno spazio domestico nel senso più pieno, che in qualche modo provo a riprodurre appena possibile. Quest'estate, a Erice, ho fatto tre tipi di marmellate: more, limoni e fichi, tutte rigorosamente con frutta raccolta o dono di parenti (non acquistata) e siamo tornati con venti litri d'olio d'oliva di produzione di uno zio di Valeria. A casa a Roma ho travasato l'olio , e portato la marmellata che non abbiamo mangiato in Sicilia. Vita, la mamma di Valeria, ci ha preso una treccia d'aglio locale e una di cipolle, oltre all'origano selvatico. In frigo ho messo diverse mele cotogne, in attesa di recuperare la ricetta per la cotognata (che non ho mai fatto).
Quando Bjorn e Francesca, i nostri amici, un anno fa hanno venduto la loro casa di Zagarolo per trasferirsi a Roma, ho soffferto molto di meno per la perdita della piscina che per quella degli alberi di ciliegie, fichi e castagne, oltre che per gli olivi e per il vino dolce di Antonio, il loro vicino.
La dispensa è legata al cibo come autoproduzione e relazione sociale, vale a dire due dimensioni praticamente estinte nel consumo alimentare moderno.
E' nello "spirito della dispensa" che stamattina con Amanda abbiamo "vendemmiato" l'uva del nostro terrazzo. Due anni fa Valeria ha portato a casa un paio di rametti tisici che le aveva regalato un vicino di casa dei genitori, ed eccoci qui, due anni dopo, a mangiare un'uva deliziosa, dolce, senza la minima traccia di trattamento chimico.
Con lo stesso spirito da ripostiglio assistiamo al maturare dei peperoncini, dopo aver mangiato i fagiolini giusto prima di partire per la Sicilia (e l'unico peperone appena tornati...).
Sicuramente vagheggio, provo nostalgia per un passato agreste che io non ho mai vissuto (se non nelle visite alle zie di papà, nella campagna di Venezia), ma mi sembra che lo spazio della dispensa avesse un valore simbolico potentissimo, che abbiamo smarrito: per fare una dispensa avevi bisogno di pazientare, di lavorare sodo di relazionarti con altre persone, e i prodotti della dispensa, a loro volta, erano motivo di socializzazione.  Per fare la passata ci si metteva in molti, per far le marmellate prima dovevi aver raccolto la frutta, lavoro che mai si faceva da soli, e anche solo andare a prendere il vino alla cantina era l'occasione per aprire una soppressa e tagliare qualche fetta da mangiare con il pane biscottato, in compagnia.
Insomma, attorno alla dispensa girava una socialità diffusa, fatta di corpi reali (affamati, assetati, golosi).
Mica social network, mica.