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mercoledì 27 ottobre 2021

PENSARE IN GRANDE: GLOBALIZZAZIONE E IMMAGINAZIONE (Lezione 09 registrata il 22 10 2021)

 


I significati sono costruzioni LOCALI. Le culture sono tentativi di creare un senso di adeguatezza per le pratiche e le azioni che si costruiscono nel nostro INTORNO, vale a dire nello spazio ordinario che ci circonda. Questo spazio sembra alquanto statico dal nostro punto di vista quotidiano, o almeno così ci è apparso tenuto conto che il mutamento sociale avviene per frazioni millesimali, per variazioni minuscole che il più delle volte apprezziamo solo in parte, e solo quando diventano appariscenti per accumulo o per frattura subitanea.

[MINUTO 05:33] Che cosa succede quando il movimento degli elementi culturali acquisisce una velocità e una distanza tale da renderlo perfettamente percepibile? Ecco, questo è quel che chiamiamo GLOBALIZZAZIONE dal punto di vista CULTURALE. La cultura è quello che tu sai “lì, in quel momento”. Cosa succede dunque quando quel lì e quel momento sembrano potersi espandere, stirare e sovrapporsi con altri “lì” e altre “contemporaneità”?

[MINUTO 06:55] Ripartiamo dall’IMMAGINAZIONE. Una volta che abbiamo sviluppato il nostro cervello nell’interazione con l’ambiente rendendolo uno strumento di pensiero, e quindi, dicevamo, di IMMAGINAZIONE, quali sono le SORGENTI di quell’immaginazione? Sono sostanzialmente due: il nostro SISTEMA PERCETTIVO, e la nostra capacità di RAPPRESENTAZIONE: la differenza sostanziale tra avere un terribile mal di testa, percepirlo direttamente; e invece farsi un’idea del fatto che qualcuno ha un terribile mal di testa. La rappresentazione è la messa in scena di qualcosa che non necessariamente abbiamo percepito direttamente o sperimentato personalmente.

[MINUTO 15:00] Mentre il nostro sistema percettivo è rimasto sostanzialmente inalterato negli ultimi 150mila anni (da quando la nostra specie homo sapiens si è consolidata), il nostro dispositivo di rappresentazione ha subito invece alcune trasformazioni radicali nelle ultime migliaia di anni, in particolare negli ultimi cinquemila anni o poco più, se diamo per compiuta la “rivoluzione cognitiva” circa 50-70mila anni fa. Attorno a 3000 PEC infatti si formano i primi sistemi di SCRITTURA, che è una tecnologia che cambia le regole del gioco della genesi delle rappresentazioni, che fino ad allora erano prodotte dalla mente di ciascuno oppure prodotte nell’interazione diretta con altri, che “raccontavano storie”. Con la scrittura si può superare la SINCRONIA della comunicazione, liberando la rappresentazione dall’hic et nunc della performance comunicativa. JACK GOODY, L’addomesticamento del pensiero selvaggio racconta proprio le conseguenze cognitive e culturali dell’acquisizione della scrittura (con un rapido accenno al Pensiero selvaggio di CLAUDE LÉVI-STRAUSS).

La scrittura, dunque, produce una mutazione profonda nel nostro sistema categoriale, nel nostro sistema di rappresentazione del reale e in generale nel nostro modo di pensare (e quindi di agire). Ma è con la STAMPA A CARATTERI MOBILI [MINUTO 32:10] che la scrittura diventa un bene disponibile generalmente, non limitato a una ristretta casta di specialisti, e può davvero creare masse popolari in grado di elaborare forme di rappresentazione inimmaginate (e soprattutto inimmaginabili) di sé stesse come masse, oltre che rappresentazioni del mondo. Si cominciano a produrre, con il CAPITALISMO A STAMPA, comunità immaginate sempre più ampie, che condividono, grazie alla scrittura, sistemi sempre più complessi e articolati di immaginazioni strutturate.

[MINUTO 40:24] Il passo successivo si attiva a partire dall’Ottocento, con l’introduzione della chimica, dell’elettricità e, appena possibile, dell’ELETTRONICA nel sistema della comunicazione: fotografia, telegrafo, cinematografo, fonografo, radio, televisione e interconnessione dati, in un crescendo esplosivo di fonti di rappresentazione sempre più parcellizzate, e progressivamente privatizzate o privatizzabili. Il salto della comunicazione elettronica è comparabile a quello della stampa a caratteri mobili:

scrittura manuale : capitalismo stampa = capitalismo a stampa : rivoluzione elettronica

 Questo per dire che, ANCHE dal punto di vista culturale, il salto che stiamo vivendo da qualche decennio è comparabile a quello che i nostri antenati hanno vissuto con l’introduzione della stampa a caratteri mobili.

In realtà, [MINUTO: 41:36] dobbiamo chiarire che c’è stato un passaggio forte, dentro questa ultima fase, dal periodo in cui il quasi MONOPOLIO dell’IMMAGINARIO era detenuto dagli stati nazionali al periodo più vicino a oggi, in cui invece lo stato nazionale ha perso questa prerogativa di controllo dell’immaginario collettivo e si è fatto affiancare da molti altri soggetti attivi (televisioni private su scala locale o nazionale, network o corporazioni transnazionali, produttori di contenuti divenuti distributori, come Disney, grandi player di Internet ormai di fatto broadcaster come Apple, Google, Amazon, e tutti i broadcaster internet come Netflix, cui si aggiungono i miliardi di utenti singoli che con le loro pagine personali, i blog e poi i social) che hanno reso l’elaborazione delle identità, personali e collettive, sempre più un gioco di corrispondenze, di scelte, di apparenti opzioni.

Per quelli della mia generazione, è ancora vividissimo il ricordo in cui lo stato nazionale (attraverso le sue agenzie culturali come la Rai, o comunque attraverso la disposizione monolinguistica in cui è stata gestita l’informazione per decenni anche da soggetti privati come gli editori di giornali, riviste e libri) poteva esercitare un’influenza molto forte ma anche molto discreta, per cui Mikey Mouse era Topolino, Popeye era Braccio di Ferro, e Charlie Brown per merenda mangiava panini con la marronata, perché non avevamo idea di cosa fosse il burro d’arachidi e toccava tradurlo in qualcosa di comprensibile, come il Grande Cocomero di Linus (che era in verità una Grande Zucca…). Tutto, letteralmente tutto veniva addomesticato, ricondotto a orizzonti consueti o comunque abbordabili.

Con la globalizzazione, la sorgente dell’immaginazione si scollega sempre più da un hic riconoscibile (la Londra della BBC, per esempio) e da un nunc condiviso (le audience oceaniche che vedevano tutte assieme lo stesso programma lo stesso momento) per frammentarsi in porzioni sempre più ridotte.

[MINUTO 50:30] Un antropologo che oltre trent’anni fa ha iniziato a porsi una serie di domande sistematiche sull’impatto di questo tipo di globalizzazione è ARJUN APPADURAI, di cui leggiamo il saggio Disgiuntura e differenza nell’economia culturale globale.

[MINUTO 57:00] Il concetto di passato come archivio sincronico della memoria è particolarmente utile e nel resto della lezione ho cercato proprio di dimostrare questo strano sentimento, la NOSTALGIA DA TAVOLINO come stato d’animo diffuso che prende la forma di una nostalgia per un passato che non abbiamo mai vissuto personalmente ma che possiamo suscitare in noi grazie all’esposizione mediatica a quel tipo di iconografia, di forma di rappresentazione prodotta altrove e fatta circolare insistentemente in contesti che non l’hanno originariamente prodotta.

[MINUTO 1:00:40] Il caso brevemente raccontato da Appadurai del karaoke filippino ci consente di capire dal vivo lo scollamento tra memoria, località e storia, per cui il passato di qualcuno (poniamo, i crooner americani degli anni 50) può essere attualizzato come il presente di qualcun altro (i giovani filippini degli anni Novanta), e il loro futuro potrebbe essere il passato di qualcun altro ancora (forse qualche artista coreano in ascesa?). Di chi è il passato? C’è un sovvertimento delle cronologie ordinarie della modernità, che per esempio riguarda anche noi italiani. Il famoso pezzo di Un americano a Roma, con il giovane Alberto Sordi che sogna un’America che ha pochissimo di reale o realistico, ci ricorda che siamo tutti, da molto tempo, esposti a queste fluttuazioni dell’immaginario.

Ma dobbiamo stare attenti a non cedere alla facile teoria dell’imperialismo culturale, secondo cui la cultura subalterna subirebbe passivamente l’impatto della cultura egemone, dato che uno degli aspetti importanti evidenziati dalla ricerca è proprio il carattere sempre attivo della ricezione, vale a dire il fatto che nessuno si limita a incorporare quel che gli viene proposto, e neppure imposto, senza una rielaborazione che può andare in direzioni assai diverse dalle intenzioni dell’emittente (è questo un tema delicato, ma la semiotica, la sociologia e l’antropologia dei media se ne sono occupate con dovizia di dettagli).

[MINUTO 1:07:25] con un paio di esempi concreti tratti dalla storia politica americana e da quella italiana abbiamo visto quanto la pervasività dell’immaginario in movimento riesca a farci sentire vicini personaggi oggettivamente lontani dalle nostre vite, e magari poco noti personaggi che invece dovremmo sentire vicini se la storia e la memoria si muovessero davvero per cerchi concentrici attorno a noi. Ma la storia collettiva e la memoria individuale e familiare si muovono a balzi, spostandosi nello spazio e nel tempo.

Il punto è che le sorgenti dell’autorità dell’informazione si sono inaridite almeno nella loro ovvietà o scontatezza. E la globalizzazione si può interpretare anche come una crisi nelle reti canoniche di trasmissione del sapere.

[MINUTO 1:22:20] Con un video di un’ecografia in 3d ho raccontato quanto questa pervasività dell’immaginario visivo possa toccarci nell’intimo delle nostre relazioni personali, consentendoci di creare

[MINUTO 1:31:00] In questo finale abbiamo rapidamente accennato al concetto di base del saggio di Appadurai, vale a dire che lo sforzo delle società umane è stato per millenni quello di costituire delle ECUMENE sempre più ampie impiegando la guerra, il commercio e la religione come mezzi per questa finalità integrativa, dovendosi sempre scontrare però con la “forza di gravità culturale”, vale a dire con l’inerzia della LOCALITÀ intesa proprio come l’hic et nunc del culturale, che sempre ha frammentato quei tentativi di integrazione almeno planetaria, se non regionale.

Con la messa in movimento su scala planetaria di persone (ETNORAMA), tecnologie (TECNORAMA), soldi (FINANZIORAMA), immagini (MEDIORAMA) e idee/ideologie (IDEORAMA) abbiamo bisogno di pensare alla cultura non più come un oggetto statico, ma piuttosto come un incrocio di flussi sovrapposti e spesso discordanti.