I significati sono costruzioni LOCALI.
Le culture sono tentativi di creare un senso di adeguatezza per le pratiche e
le azioni che si costruiscono nel nostro INTORNO, vale a dire nello
spazio ordinario che ci circonda. Questo spazio sembra alquanto statico dal
nostro punto di vista quotidiano, o almeno così ci è apparso tenuto conto che
il mutamento sociale avviene per frazioni millesimali, per variazioni minuscole
che il più delle volte apprezziamo solo in parte, e solo quando diventano
appariscenti per accumulo o per frattura subitanea.
[MINUTO
05:33] Che cosa succede quando il movimento degli elementi
culturali acquisisce una velocità e una distanza tale da renderlo perfettamente
percepibile? Ecco, questo è quel che chiamiamo GLOBALIZZAZIONE dal punto di vista CULTURALE. La cultura è quello che
tu sai “lì, in quel momento”. Cosa succede dunque quando quel lì e quel momento
sembrano potersi espandere, stirare e sovrapporsi con altri “lì” e altre
“contemporaneità”?
[MINUTO
06:55] Ripartiamo dall’IMMAGINAZIONE. Una volta che abbiamo
sviluppato il nostro cervello nell’interazione con l’ambiente rendendolo uno
strumento di pensiero, e quindi, dicevamo, di IMMAGINAZIONE, quali sono le
SORGENTI di quell’immaginazione? Sono sostanzialmente due: il nostro SISTEMA PERCETTIVO, e la nostra capacità di RAPPRESENTAZIONE: la differenza sostanziale tra
avere un terribile mal di testa, percepirlo direttamente; e invece farsi
un’idea del fatto che qualcuno ha un terribile mal di testa. La
rappresentazione è la messa in scena di qualcosa che non necessariamente
abbiamo percepito direttamente o sperimentato personalmente.
[MINUTO
15:00] Mentre il nostro sistema percettivo è rimasto
sostanzialmente inalterato negli ultimi 150mila anni (da quando la nostra
specie homo sapiens si è consolidata), il nostro dispositivo di
rappresentazione ha subito invece alcune trasformazioni radicali nelle ultime
migliaia di anni, in particolare negli ultimi cinquemila anni o poco più,
se diamo per compiuta la “rivoluzione cognitiva” circa 50-70mila anni fa.
Attorno a 3000 PEC infatti si formano i primi sistemi di SCRITTURA, che è una tecnologia che cambia le
regole del gioco della genesi delle rappresentazioni, che fino ad allora erano
prodotte dalla mente di ciascuno oppure prodotte nell’interazione diretta con
altri, che “raccontavano storie”. Con la scrittura si può superare la SINCRONIA della
comunicazione, liberando la rappresentazione dall’hic et nunc della performance
comunicativa. JACK GOODY, L’addomesticamento del pensiero selvaggio
racconta proprio le conseguenze cognitive e culturali dell’acquisizione della
scrittura (con un rapido accenno al Pensiero selvaggio di CLAUDE
LÉVI-STRAUSS).
La scrittura, dunque, produce una
mutazione profonda nel nostro sistema categoriale, nel nostro sistema di
rappresentazione del reale e in generale nel nostro modo di pensare (e quindi
di agire). Ma è con la STAMPA A CARATTERI MOBILI [MINUTO
32:10] che la scrittura diventa un bene disponibile
generalmente, non limitato a una ristretta casta di specialisti, e può davvero
creare masse popolari in grado di elaborare forme di rappresentazione
inimmaginate (e soprattutto inimmaginabili) di sé stesse come masse, oltre che
rappresentazioni del mondo. Si cominciano a produrre, con il CAPITALISMO A
STAMPA, comunità immaginate sempre più ampie, che condividono,
grazie alla scrittura, sistemi sempre più complessi e articolati di
immaginazioni strutturate.
[MINUTO
40:24] Il passo successivo si attiva a partire
dall’Ottocento, con l’introduzione della chimica, dell’elettricità
e, appena possibile, dell’ELETTRONICA nel
sistema della comunicazione: fotografia, telegrafo, cinematografo, fonografo,
radio, televisione e interconnessione dati, in un crescendo esplosivo di fonti
di rappresentazione sempre più parcellizzate, e progressivamente privatizzate o
privatizzabili. Il salto della comunicazione elettronica è comparabile a quello
della stampa a caratteri mobili:
scrittura manuale : capitalismo stampa =
capitalismo a stampa : rivoluzione elettronica
In realtà, [MINUTO: 41:36] dobbiamo chiarire che c’è stato un
passaggio forte, dentro questa ultima fase, dal periodo in cui il quasi MONOPOLIO
dell’IMMAGINARIO era detenuto dagli stati nazionali al periodo più
vicino a oggi, in cui invece lo stato nazionale ha perso questa prerogativa di
controllo dell’immaginario collettivo e si è fatto affiancare da molti altri
soggetti attivi (televisioni private su scala locale o nazionale,
network o corporazioni transnazionali, produttori di contenuti divenuti distributori,
come Disney, grandi player di Internet ormai di fatto broadcaster come Apple,
Google, Amazon, e tutti i broadcaster internet come Netflix,
cui si aggiungono i miliardi di utenti singoli che con le loro pagine
personali, i blog e poi i social) che hanno reso l’elaborazione delle identità, personali e collettive, sempre più un
gioco di corrispondenze, di scelte, di apparenti opzioni.
Per quelli della mia generazione, è ancora
vividissimo il ricordo in cui lo stato nazionale (attraverso le sue agenzie
culturali come la Rai, o comunque attraverso la disposizione monolinguistica in
cui è stata gestita l’informazione per decenni anche da soggetti privati come
gli editori di giornali, riviste e libri) poteva esercitare un’influenza molto
forte ma anche molto discreta, per cui Mikey Mouse era Topolino, Popeye
era Braccio di Ferro, e Charlie Brown per merenda mangiava panini
con la marronata, perché non avevamo idea di cosa fosse il burro d’arachidi
e toccava tradurlo in qualcosa di comprensibile, come il Grande Cocomero di
Linus (che era in verità una Grande Zucca…). Tutto, letteralmente tutto veniva addomesticato,
ricondotto a orizzonti consueti o comunque abbordabili.
Con la globalizzazione, la sorgente dell’immaginazione
si scollega sempre più da un hic riconoscibile (la Londra della BBC,
per esempio) e da un nunc condiviso (le audience oceaniche che vedevano
tutte assieme lo stesso programma lo stesso momento) per frammentarsi in porzioni
sempre più ridotte.
[MINUTO
50:30] Un antropologo che oltre trent’anni fa ha iniziato a
porsi una serie di domande sistematiche sull’impatto di questo tipo di
globalizzazione è ARJUN APPADURAI, di cui leggiamo il saggio Disgiuntura
e differenza nell’economia culturale globale.
[MINUTO
57:00] Il concetto di passato come archivio sincronico
della memoria è particolarmente utile e nel resto della lezione ho cercato
proprio di dimostrare questo strano sentimento, la NOSTALGIA
DA TAVOLINO come stato d’animo
diffuso che prende la forma di una nostalgia per un passato che non abbiamo mai
vissuto personalmente ma che possiamo suscitare in noi grazie all’esposizione
mediatica a quel tipo di iconografia, di forma di rappresentazione
prodotta altrove e fatta circolare insistentemente in contesti che non l’hanno originariamente
prodotta.
[MINUTO
1:00:40] Il caso brevemente raccontato da
Appadurai del karaoke filippino
ci consente di capire dal vivo lo scollamento tra memoria, località e storia,
per cui il passato di qualcuno (poniamo, i crooner americani degli anni 50) può
essere attualizzato come il presente di qualcun altro (i giovani filippini
degli anni Novanta), e il loro futuro potrebbe essere il passato di qualcun
altro ancora (forse qualche artista coreano in ascesa?). Di chi è il
passato? C’è un sovvertimento delle cronologie ordinarie della modernità,
che per esempio riguarda anche noi italiani. Il famoso pezzo di Un americano a Roma,
con il giovane Alberto Sordi che sogna un’America che ha pochissimo di
reale o realistico, ci ricorda che siamo tutti, da molto tempo, esposti a
queste fluttuazioni dell’immaginario.
Ma dobbiamo stare attenti a non cedere
alla facile teoria dell’imperialismo culturale, secondo cui la cultura subalterna
subirebbe passivamente l’impatto della cultura egemone, dato che uno
degli aspetti importanti evidenziati dalla ricerca è proprio il carattere sempre
attivo della ricezione, vale a dire il fatto che nessuno si limita a incorporare
quel che gli viene proposto, e neppure imposto, senza una rielaborazione che
può andare in direzioni assai diverse dalle intenzioni dell’emittente (è questo
un tema delicato, ma la semiotica, la sociologia e l’antropologia dei media se ne
sono occupate con dovizia di dettagli).
[MINUTO
1:07:25] con un paio di esempi concreti tratti
dalla storia politica americana e da quella italiana abbiamo visto quanto la
pervasività dell’immaginario in movimento riesca a farci sentire vicini
personaggi oggettivamente lontani dalle nostre vite, e magari poco noti
personaggi che invece dovremmo sentire vicini se la storia e la memoria si
muovessero davvero per cerchi concentrici attorno a noi. Ma la storia collettiva
e la memoria individuale e familiare si muovono a balzi, spostandosi nello spazio
e nel tempo.
Il punto è che le sorgenti dell’autorità dell’informazione
si sono inaridite almeno nella loro ovvietà o scontatezza. E la globalizzazione
si può interpretare anche come una crisi nelle reti canoniche di trasmissione
del sapere.
[MINUTO
1:22:20] Con un video di un’ecografia in 3d ho raccontato quanto
questa pervasività dell’immaginario visivo possa toccarci nell’intimo delle nostre
relazioni personali, consentendoci di creare
[MINUTO
1:31:00] In questo finale abbiamo rapidamente
accennato al concetto di base del saggio di Appadurai, vale a dire che lo
sforzo delle società umane è stato per millenni quello di costituire delle ECUMENE sempre più
ampie impiegando la guerra, il commercio e la religione
come mezzi per questa finalità integrativa, dovendosi sempre scontrare però con
la “forza di gravità culturale”, vale a dire con l’inerzia della LOCALITÀ intesa
proprio come l’hic et nunc del culturale, che sempre ha frammentato quei
tentativi di integrazione almeno planetaria, se non regionale.
Con la messa in movimento su scala
planetaria di persone (ETNORAMA),
tecnologie (TECNORAMA), soldi (FINANZIORAMA), immagini (MEDIORAMA) e idee/ideologie (IDEORAMA) abbiamo bisogno di pensare alla cultura non
più come un oggetto statico, ma piuttosto come un incrocio di flussi
sovrapposti e spesso discordanti.