Lo conoscete il maschio sigma, no? Quello che non vuole essere alfa, perché è troppo raffinato per le gare di branco. Quello che sta per conto suo, enigmatico e magnetico come un buco nero. Quello che vi dice: io non ho bisogno di nessuno. E non lo dice con rabbia, eh — lo dice con una calma glaciale, tipica di chi ha appena finito di leggere Nietzsche in originale, con lo sguardo perso nel vuoto mentre si accende l’ennesima sigaretta immaginaria.
Il maschio sigma è una creatura figlia dell’algoritmo e del risentimento. Una sorta di superuomo da discount, liscio, sradicato, impermeabile alle relazioni ma assetato di performance. Un Dorian Gray delle relazioni affettive, ma senza neppure il quadro a ricordargli che, nel frattempo, sta morendo di sterilità emotiva.Ora, siccome ogni idealtipo
ha il suo controcanto, mi è
venuta voglia di metterlo a confronto con una
figura apparentemente antitetica: il padre cristiano, modello
neotomista, relazionale, fondato non sull’autonomia ma sulla dipendenza
reciproca, sulla generatività e sulla responsabilità. Il
padre che si piega, non per debolezza, ma per amore. Il padre che sa di
non bastarsi.
E qui inizia il gioco.
Il sigma si definisce per separazione.
Sta fuori dal gioco perché teme che il gioco lo contamini. Vive in una
sorta di castità affettiva, un ascetismo narcisistico che però non
sfocia mai in una vera rinuncia: è solo una protezione. Il suo motto? “Meglio
solo che umano”.
Il padre cristiano, invece, si
definisce per relazione. Secondo l’antropologia tomista, l’essere è
sempre essere-in-relazione. Non c’è identità senza alterità. E infatti,
il padre è tale solo nella misura in cui esiste un figlio. Non si difende dalla
relazione: ci si espone.
Il sigma agisce per
strategia. Non ama, seduce. Non costruisce, ottimizza. Si muove nel mondo
come un algoritmo ben addestrato: risultato massimo con la minima esposizione
emotiva. L’agire morale? Una reliquia da museo.
Il padre cristiano agisce per virtù.
Fa scelte che non massimizzano il ritorno, ma rendono il mondo più abitabile
per l’altro. Cura, ascolta, accompagna. Fa cose inutili, lentissime,
faticose — ma giuste. Come insegnare a un figlio a chiedere scusa.
Il maschio sigma rifiuta il
potere oppure lo esercita in modo totalitario. Il potere lo intriga solo
finché può esserne immune, come il Joker con la laurea in business
administration.
Il padre cristiano prende sul
serio il potere come carico, come servizio. È potente perché è
responsabile, non perché domina. Insegna a portare pesi, non a schivarli. Non è
"libero", è liberante. Come dice il Vangelo, “Chi vuole
essere il primo tra voi, sia vostro servo” (Mt 20,26).
Il sigma vive in un eterno
presente performativo. Il passato è debolezza, il futuro è ansia. Solo
l’istante ha valore, purché sia instagrammabile.
Il padre cristiano pensa in
termini di eredità. Non nel senso dei beni, ma dei segni lasciati attraverso
le generazioni. Il padre è un ponte tra le anime, un custode della memoria
che prepara la via a chi verrà. Sa che la vita non si realizza nel picco, ma
nel solco.
Il sigma si definisce per esclusione:
non è beta, non è alfa, non è follower, non è simpatico. È un’assenza che si fa
stile. Ma a forza di non essere niente, rischia di non essere nessuno.
Il padre cristiano si definisce
per apertura: verso la donna, verso i figli, verso la comunità. Maschio
non come categoria di potere, ma come figura della cura e del dono.
Capace di tenerezza senza perdere forza. Capace di sacrificio senza
farsi vittima.
Il maschio sigma è l’ennesima
figura dell’uomo disincantato, un Narciso che ha smesso di guardarsi
allo specchio solo perché ha imparato a farsi i selfie. Ma alla lunga,
la sua forza non convince, la sua distanza non affascina, la sua neutralità
affettiva non seduce.
Il padre cristiano — con tutte
le sue fragilità — è invece una figura pienamente adulta. Uno che non ha
paura di essere ferito, perché sa che solo chi si espone può amare
davvero. Uno che non si costruisce una identità, ma la riceve nel dono e
nel compito.
Chi è più maschio, tra i due?
Chi si fa padrone del proprio tempo, o chi lo trasforma in una promessa per
altri?
Come scriveva Dietrich
Bonhoeffer, “la libertà non consiste nel fare ciò che si vuole, ma
nell’essere ciò che si deve”. E per essere ciò che si deve, a volte,
bisogna avere il coraggio di mettere al mondo qualcuno che ci guarderà per
sempre.