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domenica 15 ottobre 2017

Antropologia culturale #05

 12 10 2017. Tema introduttivo di questa quinta lezione: Quanto TEMPO ci vuole perché una pratica diventi TRADIZIONALE dentro una cultura? Esempio della pasta al pomodoro nel libro Il cuoco galante. Esempio della nduja nella cultura culinaria calabrese; esempio del in Inghilterra.
Assieme a E. Howsbawm e T. Ranger abbiamo discusso di Invenzione della tradizione, cioè del fatto che quel che sono spesso spacciate come antichissime pratiche culturali che in realtà hanno una storia o recente oppure spuria rispetto alla cultura che le sbandiera come proprio patrimonio. Un'altra parola che abbiamo discusso criticamente è stata quella di RADICI. Una metafora botanica, come quella di AUTOCTONIA, che implica una generazione della cultura direttamente dal luogo dove si pratica, un’idea che l’antropologia recente tende a contestare.
Il punto con cui chiudere questa sezione dedicata alla cultura in quanto CONDIVISA è l’insistenza sulla natura spuria, cangiante e sempre “bastarda” di quel sapere che il nostro sistema politico-educativo invece tende a presentarci come puro e auto-generato.
A questo punto ci siamo spostati sulla terza dimensione della cultura, e cioè il fatto che

LA CULTURA È SIMBOLICA
Questa parte della lezione si è svolta attorno al tentativo di rendere comprensibile una affermazione di MAX WEBER alquanto misteriosa (e citata nel saggio di Clifford Geertz che leggeremo la prossima lezione):
l'uomo è un animale sospeso fra ragnatele di significati che egli stesso ha tessuto.
Cosa significa questa frase, cosa voleva dirci Weber parlando in questo modo della natura simbolica della cultura?
Per comprendere questo abbiamo mischiato un po’ di LINGUISTICA (soprattutto la definizione di SEGNO data da F. De Saussure, ma confesso che una mia fonte principale per questi temi è sempre stata la SEMIOTICA, soprattutto nella versione di Umberto Eco, che io ho appreso soprattutto per la sua attenzione a fenomeni di comunicazione che non sono fenomeni di carattere linguistico) e di ERMENEUTICA, soprattutto con le riflessioni del cosiddetto “secondo Wittgenestein”, quello delle Ricerche filosofiche).
Abbiamo quindi lavorato sull’ARBITRARIETÀ della relazione tra SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Dopo aver definito il significante come “supporto materiale del segno”, ci siamo lungamente soffermati sulla teoria del significato, contrapponendo una TEORIA REFERENZIALE del significato a una TEORIA DELL’USO del significato. Questa contrapposizione ci ha indotto a parlare del significato come USO PUBBLICO di un segno, non come un legame tra quel segno e qualche forma “reale” di “realtà”.
Ascoltate bene questa parte che non ho tempo di sintetizzare qui e cercate di rispondere a questa domanda:

Q1 Selezionate un segno NON linguistico e fatene un’analisi in termini culturali, vale a dire descrivete il suo significante e analizzate il suo significato (come RETE di segni, ovviamente)