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venerdì 20 ottobre 2017

Antropologia culturale #07

18 10 2017. Il tema della lezione di oggi è sempre la natura semiotica della cultura e la necessità di avvicinarsi alla sua comprensione con un approccio ermeneutico. L’etnografia è un’interpretazione della cultura studiata. Ma dato che la cultura è l’esperienza di un sistema di segni che per essere vissuto deve essere compreso e cioè interpretato, possiamo dire che l’etnografia è un’interpretazione di secondo livello, l’interpretazione “scientifica” di quella interpretazione “spontanea” che è la cultura.
Quelli che ci appaiono come dati etnografici, le note di campo dell’antropologo al lavoro, le prime annotazioni immediate e irriflesse, su cui poi si costruirà la riflessione teorica, sono in realtà già interpretazioni, e alquanto complesse, dense. Per dimostrare questo aspetto (ricordo che il saggio che siamo leggendo sta cercando di perorare la causa che la cultura è un sistema di segni e che il nostro approccio deve essere interpretativo/ermeneutico, non empirico/osservativo) Geertz ci offre un paio di pagine del suo diario di campo dal Marocco, stese nel 1968 annotando una conversazione con un anziano mercante ebreo, Cohen.
Lette così, d'emblée, senza alcuna introduzione, queste note lasciano perplessi. Si capisce che un mercante ebreo ha avuto una qualche rogna con dei predoni berberi e con l’emergente amministrazione coloniale francese, ma il senso generale della storia rimane francamente opaco. Le facce annoiate dei miei studenti dopo aver letto tre o quattro paragrafi sono il sintomo più evidente di questa carenza di senso. Non riusciamo a capire che è successo, la storia ci scivola via dalle mani.
Tutta la lezione è stata gestita rispettando il dettato geertziano/weberiano che la cultura è una rete di significati e che il nostro sforzo di comprensione deve essere ermeneutico. Ci siamo messi di buzzo buono e ho cercato di fornire uno sfondo di informazioni e commenti che consentissero di comprendere quel breve racconto per la farsa culturale che si rivela essere. Spiegando com’era la gestione militare francese, il collasso istituzionale dell’Impero Ottomano, la diaspora ebraica, il patto commerciale mezrag, il concetto di ’ar, le forme di resistenza ironica al colonialismo, il malinteso intenzionale e molte altre “cose” culturali, siamo arrivati in fondo alla lezione emozionandoci, sorridendo e condividendo con il povero Cohen la sua disavventura personale che tanto ci dice della situazione sociale e culturale dell’epoca in cui è accaduta (oltre a dirci un sacco di cose del rapporto tra etnografo e informatore, tema su cui torneremo tra un paio di lezioni). Abbiamo realizzato un esercizio di IMMAGINAZIONE ETNOGRAFICA. Non siamo mai stati in Marocco (o se ci siamo stati non abbiamo certo visto né un vecchio ebreo che raccontava le sue vicende a un antropologo americano, né un giovane ebreo che cercava, con poco successo, di sfangarla in mezzo al caos dell’incipiente colonialismo francese) ma in qualche modo ora ne sappiamo di più: abbiamo una qualche idea di cosa vuol dire commerciare in un sistema tradizionale di rapporti clientelari; abbiamo una qualche immagine di cosa vuol dire conquistarsi il proprio onore come necessità lavorativa, mica pallino moralista; sappiamo un po’ meglio di prima che a volte gli uomini fanno finta di capire fischi per fiaschi perché gli fa comodo, e altre volte non hanno bisogno di dirsi granché a parole per comunicare una loro protesta. Sappiamo insomma qualcosa in più di cosa voglia dire comportarsi da esseri umani in un sistema culturale diverso da quello che ci è più familiare, abbiamo un pochino allargato l’orizzonte di quel che significa essere umani. Secondo me è un motivo mica banale per studiare all’università. Lo ammetto, non sarà un granché “professionalizzante”, questa competenza, ma forse se ci si educa ad essere uomini e donne un po’ più densi, un po’ più spessi, non è impossibile che questo aiuti, qualunque professione si voglia fare in seguito.

Q1. Tra Cohen e i francesi si realizza un duello simbolico in diversi mani di gioco. Che armi usano i rispettivi contendenti? Provate e ricordare un episodio di vostra conoscenza (o invenzione) in cui parimenti le armi comunicative in campo non erano equivalenti (tenete presente che la situazione “esame universitario” è un esempio perfetto di questo tipo asimmetrico di sfida comunicativa, così intanto riflettete un poco anche sul POTERE nei contesti comunicativi).